Santi Spartà
Nato prima dell’inizio dell’era spaziale, quando la sera bastava alzare lo sguardo per scorgere la collana di perle celesti della Via Lattea e non era ancora possibile confondere una cometa con un satellite artificiale, Santi Spartà – per gli amici Ninni – è nato tra gli scogli di Acitrezza, la patria dei Malavoglia che in quel tempo era una sorta di cartolina illustrata, di quelle che si mandavano ai parenti durante i viaggi e si conservavano poi per sempre nelle scatole di cartone, al posto dei messaggi istantanei e presto dimenticati degli smartphone.
Quando la domenica mattina accompagnava papà sulle colline odorose di primavera per raggiungere un punto dal quale era possibile dominare con lo sguardo i faraglioni che emergevano dal mare limpido e lo aiutava a sistemare il cavalletto che sosteneva la tela sulla quale Mimmo avrebbe dipinto i suoi sogni, Santi cominciava a porsi domande sul perché e il percome delle cose, tanto che a cinque anni – a chi gli chiedeva cosa avrebbe voluto fare da grande – la risposta era sempre la stessa : “lo scienziato atomico”. Che nel 1959 non era come dire il pompiere o il medico.
Questa fissazione giovanile lo ha sempre accompagnato e non sembra volerlo abbandonare. E se le limitate capacità di razionalità formale gli hanno precluso la strada della ricerca “alta”, si è tuttavia dedicato con passione e dedizione all’attività di progettazione e produzione di software e, soprattutto, di esperto in protezione contro i rischi derivanti dall’uso delle radiazioni.
Negli anni ha poi aggiunto lo studio dei rischi delle sorgenti laser, dei campi elettromagnetici, del rumore mentre nell’ultimo periodo, rivangando i sogni suscitati dalle letture fantastiche che lo affascinavano da ragazzo, ha deciso di scorrazzare tra robot e intelligenza artificiale, cercando soluzioni etiche a tecnologie invasive e dirompenti con il supporto degli studi classici, che gli hanno donato una visione umanistica della vita e del destino umano.
Si definisce un sopravvissuto romantico e crede che solo la poesia può placare il tecnicismo esasperato e presuntuoso, continuando a porsi domande e diffidando di quasi tutte le risposte.
Nel frattempo legge e scrive, per puro piacere, fin da quando è passato dalle aste all’alfabeto.