Science Fiction

Quand’ero ragazzo, nel tempo in cui i dinosauri percorrevano ancora la Terra lasciando sul proprio cammino tracce organiche tanto grandi da riempire oggi una piazza della Vuccirìa, i personal computer, internet e cose come Wikipedia appartenevano soltanto alle allucinazioni di pochi narratori visionari, che popolavano le pagine di riviste come Amazing Stories e Astounding Science Fiction, inarrivabili per noi giovani abitanti della periferia dell’Impero, che ci accontentavamo di sognare i nostri mondi alieni e futuribili attraverso le pagine della più domestica Urania.

In quel tempo, le meravigliose (almeno per me) “ricerche” che gli allora illuminati Maestri di scuola assegnavano come compito per casa imponevano in senso stretto la necessità di “andare a cercare” il tale o il talaltro argomento in modo fisico, alzando il sedere dalla sedia e rovistando – per chi aveva tale fortuna – nella libreria familiare, nel tentativo di trovare risposte adeguate e redigere una paginetta che provasse a sviscerare l’argomento richiesto dal docente.

Si trattava ovviamente di un utile esercizio, che pur incrementando in modo quasi sempre irrilevante la conoscenza, mirava a fornire al giovane il piacere della conquista del sapere, ottenuto con fatica e metodo.

Tutto ciò appare obsoleto alla maggioranza degli studenti di oggi, ai quali basta digitare qualunque richiesta sul proprio smartphone per ottenere risposte tanto immediate quanto labili e prive del piacere insostituibile della conquista.

Per coloro che non si accontentavano della conoscenza fruibile nella libreria della scuola piuttosto che nella casa paterna o nella residenza dei nonni – non perché le librerie della piccola borghesia cittadina fossero sfornite dell’immancabile enciclopedia a fascicoli settimanali, rilegata dalla piccola legatoria del centro storico, ma perché insaziabili ricercatori del più piccolo e inedito dettaglio – si aprivano le porte della severa e gigantesca Biblioteca Comunale, nella quale era custodito quello che ci appariva essere l’intero scibile e, segnatamente, l’edizione aggiornata della mitica Enciclopedia Treccani.

Adesso, nulla togliendo alla meritevole Wikipedia, chi come me ha varcato da tempo il mezzo del cammin sa bene che l’Istituto dell’Enciclopedia Treccani rappresenta ancora oggi l’eccellenza della cultura nazionale. E dunque affidarsi ad un testo tratto dalle sue pagine garantisce rigore scientifico e autorevolezza d’altri tempi.

Se cerchiamo dunque sulla mitica enciclopedia chiarimenti sul termine “geniale”, troviamo, com’era d’altronde prevedibile, che esso deriva dal latino e che ha radici nel sostantivo “genio” il quale prima ancora che denotare una disposizione naturale, l’attitudine di un individuo a questa o quell’arte, fino a raggiungere straordinari livelli non tanto di eccellenza quanto di creatività, di approccio inedito e originale – si riferisce piuttosto a una forza astratta, una divinità tutelare che ispira, influenza e protegge gli esseri umani. I quali a tale spirito protettore si affidano, per scalare la vetta della conoscenza.

Mi piace poi pensare che la parola genius, a sua volta derivata dalla radice geno, forza naturale creatricee dal terminegreco γένος, progenie, sia strettamente legato a γυνή, la donna, vera ed unica forza di creazione. Quasi a dire che la donna possiede in modo naturale la forza del genio creatore.    

A questo nume tutelare intendiamo rivolgerci. Perché ci aiuti a trovare la strada della conoscenza e dell’arte, le sole che conducono l’uomo oltre la schiavitù della barbarie quotidiana.

Di Leonida Etneo

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