Mi chiamo Giankarim De Caro.
Così dissi mentre mi toglievo la scarpa e la mettevo sulla scrivania di colui che avrebbe dovuto decidere se assumermi nell’allora Fininvest e gli domandai come trovasse quella scarpa. Lui mi rispose, incuriosito e divertito, che la trovava vecchia. Alla mia risposta sorrise e mi assunse. Risposi che la scarpa era nuova e anche se non avevo i titoli richiesti, sono uno che cammina e le scarpe le fa diventare vecchie in poco tempo. Camminare, attraversare, andare oltre, da sempre sono le parole che mi hanno portato avanti, rendendomi protagonista di una vita che mi ha sempre sorpreso.
Ricordo la mia classe alle elementari, al “Giacomo Serpotta”, e i miei compagni, bambini problematici che nel loro cammino avrebbero conosciuto il pane della galera. L’impatto con la miseria del loro vivere mi ha sicuramente segnato, ricordo ancora chiaramente i loro odori e la loro violenza. Già in terza elementare alcuni di loro rispondevano al maestro alla pari, offendendolo; addirittura, in quinta, due dei miei compagni lo picchiarono in classe e all’uscita da scuola. Ricordo anche che sarei voluto essere come loro, forte e temuto, ma sapevo che non lo sarei mai stato, avevo paura. Feci malissimo le elementari, imparai le tabelline in quarta e i verbi in quinta. Il maestro, per provare a incuriosire la classe, tentava di farci studiare la storia di Palermo, da Federico II alla Seconda Guerra Mondiale; quei racconti mi affascinavano, e immaginavo la mia città in quei periodi.
Andai in prima media conoscendo la storia della mia città, ma non gli avverbi. Mi misi d’impegno, alle elementari ero tra i più bravi della classe ma alle medie, malgrado l’impegno, non riuscivo a stare al passo con la classe. Il primo anno fui promosso, forse per premiare l’impegno ma al secondo venni bocciato. Ero un disastro, andavo malissimo in tutte le materie tranne che nei temi. Ho sempre amato leggere ma non riuscivo a esprimermi come quando scrivevo. All’età di nove anni avevo ricevuto dei libri per la prima comunione: “Le avventure di Marco Polo” e “I tre moschettieri”. In quei libri avevo trovato, per la prima volta, delle avventure che mi coinvolgevano. Li lessi e ne cercai altri. Alle scuole medie avevamo una piccola biblioteca; lì conobbi Salgari e i suoi eroi e me ne innamorai. La professoressa d’italiano pensava che la mia richiesta di andare in biblioteca fosse solo una scusa per uscire dalla classe e che di tutti i libri presi in prestito non ne avessi letto nessuno. Io invece i libri li prendevo e li divoravo. Furono quelli gli anni in cui nacque il mio interesse per la letteratura.
Mi avvicinai alla piccola libreria che avevamo a casa. Quei libri austeri mi sembravano troppo impegnativi per me, non una figura o del colore in copertina, e poi mio padre quando li leggeva diventava serissimo, seduto nella sua poltrona. Una sera in tv trasmisero uno sceneggiato sulla baronessa di Carini, ricordo ancora la colonna sonora. Chiesi a mio padre di quella vicenda e mi disse che era basata su una storia vera. Alla mia domanda su dove poter trovare quei racconti mi rispose che c’erano dei libri nella nostra libreria che ne parlavano. Trovai “I Beati Paoli”. Mi avvicinai a quei tomi con un po’ di timore, in un pezzo dello sceneggiato avevo visto che erano uomini incappucciati che vivevano nell’ombra. Cominciai a leggere quelle pagine, ripetendomi che se avessi avuto paura avrei chiuso i libri per sempre. Non fu così, per me fu un incontro importante. La storia narrata era fluida e avvincente, niente a che vedere con la copertina del libro.
Nel frattempo ripetevo la seconda media. La nuova insegnante d’italiano ci fece adottare un libro di narrativa dal tittolo “Storie delle storie del mondo”, l’Iliade per ragazzi. Tra i Beati Paoli e gli eroi omerici la mia vita cambiò, volevo essere uno di quei personaggi per i quali l’Onore era la cosa più importante. Nel frattempo arrivavo alla fine della terza media e venivo licenziato come un alunno mediocre al quale si consigliava l’inserimento nel mondo del lavoro. Mio padre decise di iscrivermi in un Istituto Tecnico Commerciale, una scuola che mi avrebbe dato ‘un pezzo di carta’ per lavorare.
Anche il mio nucleo familiare era l’incontro di due mondi completamente diversi. Mio padre, nato nel ’26, veniva da una famiglia in cui sia lui che i suoi fratelli erano laureati o diplomati; mia madre, del ’47, al contrario, veniva da una famiglia in cui la scuola era vista come un peso, come una cosa da damerini. Lei aveva la quinta elementare, i suoi genitori si erano opposti a farle continuare gli studi dicendole che le donne che andavano a scuola erano donne di malaffare. Per non far vivere anche a me un’esperienza come la sua, mia madre non pensò mai di ritirarmi da scuola, ma appoggiò mio padre nell’insistere sul mio percorso scolastico.
Nel frattempo, la solidità economica della mia famiglia crollava e in breve mio padre, per motivi di salute, fu costretto a chiudere la sua attività di commerciante di mobili. Mia madre fu costretta a inventare un nuovo impiego: aprì quindi una casa di riposo. Per questo motivo, a quattordici anni cominciò la mia convivenza con gli anziani. La mia casa diventò un ospizio. Avevamo circa cinque anziani, tutti con deficit mentali più o meno gravi. Furono anni di follia: la notte era impossibile riposare e spesso a scuola mi addormentavo sui banchi. Pochi anziani, pochi soldi. Io e mio fratello più grande avevamo un solo maglione che la domenica mia madre lavava, in modo che il lunedì potessimo scambiarcelo. In quella casa di riposo ho incontrato quelli che, molti anni dopo, sarebbero diventati i protagonisti dei miei libri.
Venni bocciato al primo anno di Ragioneria. Nulla mi interessava di quella scuola: io, che tra i banchi pensavo che avrei trovato i miei eroi, trovai invece la partita doppia e l’economia. Resistetti fino al terzo anno: poi, dopo l’ennesima bocciatura, mi ritirai. La scuola mi aveva deluso tantissimo, i libri no!
Leggevo di tutto: Pirandello, Levi, Calvino, Verga e sempre Natoli. Poi, un giorno, avvenne la svolta. Avevo sentito parlare degli scrittori russi, descritti come autori di libri pesantissimi ed illeggibili. Era la mia sfida! In biblioteca alle superiori avevo letto “Moby Dick” e altri classici. Potevo misurarmi.
Nel frattempo, lasciata la scuola, avevo trovato lavoro come ‘schiavo’ presso un’impresa funebre della mia città. Avevo 17 anni e guadagnavo duecentomila lire la settimana. Lavoravo 22 ore su 24, avevo libere esclusivamente due ore a pranzo. In quel posto stavo diventando un piccolo delinquente: imparai a usare il coltello e a rispettare i forti e non i deboli. Fu mio fratello maggiore ad accorgersi dei miei cambiamenti e a dire a mia madre di iscrivermi nuovamente a scuola. Anche io mi ero reso conto che senza un titolo di studio avrei combinato poco, così iniziai a frequentare una scuola serale; fu grazie a quell’istituto che ebbi il primo incontro importante della mia vita: un professore di lettere che mi diede fiducia e fece ordine nella mia voglia di leggere. Mi prestò tantissimi libri e io ebbi la possibilità di riannodare quel filo con la lettura che si era rotto quando ero diventato un casciamortaro. Da quel lavoro fui licenziato perché non ero più disposto a fare orari sfiancanti e perché ero diventato critico rispetto a quel modo di fare.
Trovai un impiego come fattorino a duecentomila lire al mese e riuscii a diplomarmi a ventuno anni. Tornato dal servizio di leva cominciai a fare lavoretti saltuari, come vendere pubblicità per giornali locali. Grazie a questo lavoro, per un caso fortuito, entrai in Fininvest come agente pubblicitario per un nuovo progetto basato sulla vendita di spazi pubblicitari sul cartaceo. Mantenni questo impiego per due anni, poi decisi di dire basta. Desideravo creare qualcosa di mio, ero riuscito a mettere da parte una buona somma e così decisi di investire quel denaro in un’attività mia. Era la fine degli anni Novanta, gli anni in cui a Palermo si svegliava una nuova generazione che strizzava l’occhio al cambiamento; il centro storico cominciava a rivivere e molti ragazzi si scoprirono artigiani e artisti. Provai a cavalcare quell’onda e aprii un negozio di artigianato locale. Fu un disastro.
Persi quanto guadagnato in quei due anni in Fininvest, ma grazie a quest’esperienza negativa incontrai un uomo che mi propose di sostituire l’artigianato locale con quello etnico di cui era un grande conoscitore; in cambio dei suoi servizi gli pagai il biglietto per la Thailandia, luogo nel quale mi avrebbe accompagnato e dove avrei potuto comprare merce a basso prezzo. Partimmo insieme: pensavo che sarei diventato un uomo d’affari, invece diventai un mercante. Mi appassionai alla cultura dell’Estremo Oriente e cercai di portare in Italia articoli diversi da quelli che portavano i grandi importatori. Le cose andarono bene, cavalcai l’onda della moda etnica e nacque il mio grande amore per l’Asia. Per dodici anni ho importato mobili e oggettistica dalla Thailandia, dall’India e da molti Paesi della zona.
Furono dodici anni magnifici. Non smettevo mai di voler scoprire, ero insaziabile. Ripercorsi il viaggio di Marco Polo, visitai tanti Paesi, dal Marocco all’Indonesia a tutto quello che ci sta in mezzo. Più conoscevo, più avevo voglia di vedere. Viaggiavo con lo zaino sulle spalle, non spendevo molti soldi. Le cose mi andarono bene, anche se non ho mai messo da parte dei soldi. li spendevo tutti per viaggiare.
Nel 2008 l’etnico passò di moda. Chiuso il capitolo mobili – troppo alti i costi per un mercato che non li voleva più – cominciai a lavorare con la bigiotteria. Aspettando i clienti in negozio cominciai a scrivere, buttando sui fogli le storie ascoltate, quelle vissute e quelle immaginate. Infine, l’incontro con l’editore Ottavio Navarra, che ha creduto in me e che ha portato alla pubblicazione con Navarra Editore del mio primo romanzo ‘Malavita’ dove sullo sfondo di una Palermo decadente, due generazioni di prostitute si confrontano con la durezza del periodo che va dal primo novecento alla seconda guerra mondiale, e con la loro difficoltà della loro condizione di donne sole.
Dopo pochi mesi venne pubblicato ‘Fiori mai nati’, la storia della famiglia Calamone, “gente miserabile, arrogante, cattiva”, come recita l’esergo del romanzo.
Il Barone e la Baronessa – titoli a metà tra il legittimo e l’”inciurioso” – hanno messo alla luce una prole numerosa, e maledetta già prima della nascita. Totò, Ciccio, Piero, Peppino, Vito, Maria e Angela crescono a fatica, arrancando, in una Palermo buissima e sfinita dalle bombe americane.
I Calamone sono feroci prima di tutto con se stessi, per loro vivere significa prendersi tutto quello che pensano di meritare a scapito di chiunque, senza mai chiedersi cosa sia giusto o sbagliato. Vittime e carnefici consapevoli, sono i protagonisti di un romanzo corale, volutamente crudo, dove ogni evento della vita diventa qualcosa da conquistare, per cui battersi con la forza, fuori da ogni idea di giusto o sbagliato.
‘Chianchieri’, il mio terzo romanzo, venne pubblicato nel 2020.
Cola e Totò, gemelli nati alle porte di Palermo a metà Ottocento, crescono in un famiglia di macellai da generazioni, di uomini forti nel fisico e nella tempra. Negli anni della loro formazione la Sicilia si prepara a vivere i passaggi cruciali tra la spedizione dei Mille e l’Unità d’Italia, e i due giovani sono chiamati a confrontarsi con il loro destino. I loro percorsi si muovono parallelamente: entrambi si uniscono ai garibaldini, si sentono parte di un popolo che combatte per liberarsi dall’oppressione e conquistare la libertà, e condividono il sentimento delle folle che riempiono le strade per reclamare cibo e terre.
Ma quando irrompe nella loro vita la fragile Oliva, ennesima vittima di violenza e di sopprusi, le loro strade si dividono, portando Totò oltreoceano per fuggire alla repressione e per provare a costruire un futuro più sicuro per la sua famiglia.
Ed infine ‘Agatina senza pensieri’. Dopo decenni di assenza, Agatina torna nella vecchia casa di famiglia per dare l’ultimo saluto al fratello morente. E’ il 9 luglio del 2006 e la città è in fermento. La nazionale italiana di calcio sta per giocarsi il titolo di Campione del mondo, ed in questo clima di attesa e di leggerezza si consuma l’ultima, stravagante ora nel mondo di Aspano Lo Trovato. Con il suo ritorno a casa, Agatina riavvolgerà il nastro della sua vita ed ormai sbiaditi dal tempo riappariranno i volti amati ed odiati che hanno popolato la sua giovinezza. Agatina ripercorrerà soprattutto il triste vissuto della sua famiglia e farà i conti con tutte le incomprensioni, i drammi, le ferite dolorose che hanno segnato la vita dei Lo Trovato.
Tra poco verrà pubblicato il mio nuovo lavoro ma di questo non voglio svelare nulla.
Dimenticavo, il mio libro preferito è “Delitto e castigo” di Dostoevskij, seguito a ruota da “Il Maestro e Margherita” di Bulgakov. Adoro la musica di Jannacci e di Gabriella Ferri e i film a cui sono legato sono il “Cacciatore” di Michael Cimino, seguito da “Arancia Meccanica” di Kubrick.
Giankarim De Caro