Versi di scienza e formule d’arte
Questa rubrica è dedicata all’aspetto artistico della scienza e a quello scientifico dell’arte.
Parlerò principalmente a partire dalla mia esperienza, avendo avuto la fortuna di lavorare in ambedue i settori, ma proverò ad estrarne delle considerazioni più generali.
Come nasce un’idea nuova, un nuovo progetto scientifico? Chi lo vede da fuori, spesso ha l’impressione che sia un processo preordinato, che le conoscenze acquisite e i nuovi dati portino da soli alle nuove teorie. Questo può essere vero per i piccoli incrementi di conoscenza scientifica, ma le idee che possono portare a cambiamenti rilevanti nascono quasi sempre in altro modo. Prima di tutto, un’irrequietezza, un sentimento di scontento per la situazione corrente nella propria disciplina. E una capacità e desiderio di connettere idee apparentemente lontane tra loro.
Nell’arte è spesso l’opposto: dietro all’estro, all’idea originale c’è non solo molto studio tecnico, ma anche una grande quantità di lavoro per definire e ripulire l’opera. Alla fine, secondo me, i due aspetti, artistico e scientifico, possono lavorare insieme a beneficio di ambedue.
AI, Zen e Bambi
Nell’intelligenza artificiale (AI), uno dei problemi principali è la creazione dei concetti (semplificando, la rappresentazione mentale dell’astrazione di un’esperienza sensoriale). All’inizio, si è provato a creare queste tassonomie a mano: è stato utile, ma chiaramente limitato.
Nella tradizione filosofica occidentale, di ispirazione platonica, i concetti sono il riflesso di entità esistenti già all’esterno, come oggetti fisici o addirittura come astrazioni universali. Nella tradizione orientale, invece, dal Taoismo allo Zen, la percezione è un continuum, ed è la mente che crea la separazione in concetti, che poi vengono assunti culturalmente come oggetti esistenti di per sé.
Quando lavoravo per il mio dottorato, mi è sembrato che questo secondo punto di vista fosse più utile per costruire una rappresentazione interna ad un computer. Così ho costruito una versione della visione orientale in termini di logica matematica.
Una volta ottenuta la mia cattedra in AI in un’università inglese, però, mi sono reso conto che non sarei riuscito a spiegare questo approccio ai miei studenti, che già avevano poca familiarità con la filosofia occidentale, figuriamoci quella orientale. Avevo bisogno di qualcosa che chiarisse questi concetti in modo facilmente comprensibile, così ho cercato nell’universo artistico.
In particolare, quello dell’animazione per bambini. In Bambi, un capolavoro Disney, c’è una sequenza in cui Bambi impara a collegare nomi (cioè astrazioni) a esperienze. Bambi, un giovane cervo, a passeggio nella foresta con Tamburino, un coniglio più grande ed esperto, incontra un uccello. Non sa cos’è, allora Tamburino gli dice che è un uccello. Poi Bambi incontra una farfalla, e la chiama ‘uccello’. Cioè, Bambi ha collegato il nome ‘uccello’ ad ‘animale volante’, e ha creato una super-categoria. Tamburino gli dice che invece è una farfalla, per cui Bambi deve riesaminare la sua concettualizzazione, e decide che la cosa che definisce la farfalla non è la capacità di volare, ma la forma e colori. Poi incontrano un fiore, che assomiglia alla farfalla, e Bambi lo chiama ‘farfalla’, cioè lo inserisce nella stessa categoria. Tamburino gli spiega che invece è un ‘grazioso fiore’, come tutti quelli vicini, dal che Bambi deduce che non è né l’abilità di volare né la forma che crea il concetto, ma la posizione, in questo caso nel prato. Quando poi, tra i fiori, spunta una puzzola, Bambi la chiama ‘grazioso fiore’. Tamburino sta per correggerlo, tra le risate, ma la puzzola dice che ‘grazioso fiore’ gli sta bene come nome, per cui nel resto del film sarà chiamato così.
Non solo i miei studenti di allora si sono divertiti, ricollegandosi ad un’esperienza comune (il film), ma hanno imparato la teoria della ‘costruzione dinamica e funzionale dei concetti’ senza sforzo. Senza neanche saperlo, hanno assorbito un principio Zen fondamentale.
Roberto Garigliano