La bottega delle erbe
Una delle tante prerogative del nostro tempo è quella di rivalutare alcuni mestieri che sono stati abbandonati. In questo caso parlerò dei vecchi negozi che vendevano erbe curative, oggi tornate di moda e si possono acquistare nelle farmacie, nei centri benessere e persino nei supermercati ma stranamente i pochi negozi che le vendono non hanno un grande afflusso di pubblico, probabilmente perché i locali non sono lussuosi, le vetrine poco raffinate e poco illuminate.
Un tempo in Città c’erano diverse erboristerie. Di solito, per attirare l’attenzione dei passanti all’esterno ponevano alcuni fasci di erba attaccati al muro con un chiodo. L’arredamento interno era molto povero, un semplice bancone, un mobile con molti cassetti dentro i quali erano poste le piante medicinali essiccate, e soprattutto un odore particolare. Non sempre coloro che si recavano in questi negozi erano ammalati, alcuni avventori, quasi giornalmente non mancavano di bere un bicchiere di acqua di malva e gramigna: rinfrescante e diuretico. Anche il decotto di ficodindia era molto richiesto: è un toccasana per le vie urinarie. Ancora oggi è richiesto, si beve a digiuno.
Un altro cocktail che si usava era composto da Centurippa, Uva ursina, Coda di cavallo, Gramigna e Ruggia: serviva a sciogliere i calcoli renali ed epatici. La bravura dell’erbaiolo era la conoscenza della miscelazione delle dosi esatte.
C’erano anche le erbe per debellare il verme solitario, i dolori e l’unguento per le emorroidi, qualche erbaiolo preparava “polvere magiche” su commissione di qualche fattucchiera: “La polvere dell’attiramento”, da versare nel cibo della persona che si voleva conquistare; “La polvere d’amore” per fare innamorare; i “Semi di pace e concordia” per riportare l’armonia in famiglia.
Le erbe erano raccolte dei contadini che conoscevano i periodi particolari affinchè ogni tipo di erba raggiungessero il massimo del potere curativo e le caratteristiche particolari e le vendevano agli erbaioli.
Anche l’essiccamento aveva delle procedure precise, avveniva in un ambiente climatico particolare: ventilato e senza umidità. L’erbaiolo conosceva le virtù terapeutiche di ogni erba, il tempo esatto della bollitura, la giusta dose e la preparazione dei decotti. Queste conoscenze erano frutto di anni di esperienza lavorativa, per questo gli erbaioli erano gelosi dei loro “segreti” e li tramandavano da padre in figlio.
Probabilmente, l’esercizio più antico di Palermo fu quello della famiglia D’Angelo (1769), che ancora opera in via Dante.
Nei primi anni del 1700, c’erano alcuni orti adibiti alla coltivazione di erbe medicinali: Principe della Cattolica a Misilmeri, dei monaci Gazzara al convento di Sant’Antonino, del marchese Ingastone, del principe di Galati (Via Cavour) e del gesuita Pietro La Lumia.
Uno dei negozi più rinomati della Città si trovava in via Garraffello n° 7, nel quartiere Vucciria.
La gente credeva all’efficienza di queste erbe medicinali e sino agli anni 60/70 alcune di queste pozioni erano consumate quasi quotidianamente. Poi il progresso, l’avvento della medicina industriale, lo snobismo e la cattiva informazione decretarono la lenta agonia di questi “artigiani sanitari”.
Oggi le persone che fanno questo mestiere, oltre ai segreti appresi dai genitori abbinano le nozioni scolastiche.
Santi Gnoffo