A cosa serve la curiosità?

Quando un bambino smette di chiedere il perché di ogni cosa, spesso palesando gli abissi di ignoranza degli adulti, la strada dell’omologazione che uniformerà la sua esistenza è già spianata.

Da quel momento, l’ansia della scoperta che lo aveva accompagnato per tutta l’infanzia cederà il passo al pregiudizio, all’uniformità, alla delega del pensiero creativo in favore dell’opinione condivisa con la maggioranza, aderendo alla quale l’individuo scopre la rassicurante solidità della condivisione sociale, spesso assai più gratificante di quella, svogliata e talora perfino ostile, del nucleo familiare d’origine.

Quando gli altri sono d’accordo con me, ho la sensazione di avere torto” chiosava acutamente Oscar Wilde, vissuto assai prima che il Pensiero Unico divenisse universale attraverso il sistema capillare di quella rete globale che avrebbe fatto la felicità di tutti i tiranni che hanno ingombrato la storia umana e riempito il mondo di cimiteri.

In questo tempo di incertezze friabili, variabili come il tempo meteorologico, ribaltabili con la facilità di un click sulla tastiera e affidabili al pari delle sabbie mobili, l’individuo ormai incapace di interpretare la realtà, confida nel giudizio-pregiudizio di influencer, che si tratti di scegliere oggi una marca di panettoni o un qualunque altro bene di consumo e domani un leader politico piuttosto che un altro, giudicando che essi siano in fondo equivalenti tra loro.

Conservare integra la curiosità dei bambini, coltivare quella loro insaziabile voglia di chiedere perché, che non si accontenta di risposte prive di una spiegazione plausibile, stimolare il loro interesse verso la stranezza, la diversità, l‘insolito, li aiuterà a ragionare con la propria testa, a prendere decisioni consapevoli, a non giudicare la diversità come un problema ma come una seducente ricchezza con la quale confrontarsi per crescere senza pregiudizi.

Perdere la curiosità smettendo di chiedere perché equivale a rinunciare alla propria libertà di uomini, a delegare ad altri le scelte per il futuro, ad accettare il ruolo di obbedienti schiavi-consumatori di una società sempre più uniforme e lugubre.

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