Dalla parte giusta – l’intervista di Marisa Di Simone
Il giornalista Accursio Sabella, nel suo romanzo d’esordio “Dalla parte giusta“, in un intricato intreccio tra potere politico e criminalità organizzata sorprende, tiene il lettore con il fiato sospeso. Tre amici si trovano coinvolti in un assassinio e conducono il lettore a districarsi tra il partito politico riformatore “I Giusti” e l’organizzazione criminale chiamata Catèria.
Il romanzo, nell’immaginario mondo della vicenda narrata, assume i connotati di una realtà complessa, intricata, dove i confini della verità e della giustizia sfumano in altre verità, in altre narrazioni. Sabella racconta i misteri che si celano dietro i poteri dell’illegalità, di gruppi politici che alzano le false bandiere dei diritti, che recitano il ruolo dei paladini della giustizia. L’illegalità trova modi, sottigliezze, inganni per indossare la maschera della legalità, cercando accordi taciti, ingannando chi si affaccia ingenuamente al potere, convinto di portare cambiamento e di stare dalla parte dei “giusti”.
Come è nata l’dea di scrivere questo libro. Quanta influenza ha avuto la tua esperienza professionale e personale nel raccontare dell’organizzazione criminale chiamata Catèria, combattuta dal partito dei Giusti?
Io faccio un altro lavoro, non pubblico libri, quindi mi sono preso tutto il tempo per scriverlo per pensarlo e sicuramente molte delle cose che vedevo nel mio lavoro, come giornalista e come vice capo della comunicazione di un gruppo parlamentare alla Camera dei deputati, nella genesi del mio romanzo hanno trovato spazio. Il fatto di fare un altro lavoro, che non è quello dello scrittore, mi ha consentito di scrivere una storia che non è immediata. Sembra un giallo ma non lo è, è una storia ambientata in uno specifico ambito, quello della politica e del potere. Non è un libro che strizza l’occhio a certi sicilianismi, non prova a fare il verso ad altri autori, che so Camilleri. Ho provato a scrivere qualcosa che era in sintonia con la mia professione.
Entriamo nel cuore del romanzo, Marco Mezzogiorno, anima del gruppo politico dei Giusti, finge, inganna, recita la parte di chi vuole sconfiggere la corruzione.
Oggi, ritieni che la capacità degli uomini politici di guadagnarsi la fiducia del pubblico, indipendentemente dalle loro azioni effettive, sia più importante delle azioni stesse, considerando di conseguenza che i fatti non siano rilevanti?
Io mi occupo di politica da cronista e poi da comunicatore da circa vent’anni e mi sono accorto di una tendenza che è stata graduale, ma poi ha avuto un’accelerazione negli ultimi anni, mi riferisco all’estrema semplificazione del messaggio politico, come se si adeguasse ai social. Ne volesse imitare la lingua semplice ed immediata che se ha una sua funzione pratica, quella di far conoscere i fatti alla gente, dall’altra finisce per appiattire il discorso, per far perdere le sfumature e spessore all’informazione. Ed è quello che mette in pratica Marco Mezzogiorno, parlare alla pancia della gente. Marco, capo del gruppo dei “Giusti”, governa gli altri due amici, Giulio Levante e Bruno Ponente, spingendoli all’azione politica e svuotando ogni valore morale con una logica utilitaristica. La sua retorica utilizza le semplificazioni, gli slogan, i messaggi diretti dove molto spesso o non c’è niente o peggio c’è il contrario di quello che si dice.
Catèria viene nominata nelle diverse parti del romanzo con nomi diversi: lobby, setta, organizzazione criminale è una scelta ben precisa per non parlare di specifiche realtà criminali o è solo un caso non averla identificata con nessuna realtà storica?
Io non volevo scrivere un libro sulla mafia, o un libro che parla della politica siciliana. L’isola in cui viene ambientato il racconto è un’isola immaginaria, la regione è immaginaria, anche le strutture, le istituzioni hanno nomi diversi, non è un romanzo ambientato in un luogo ed in un tempo definito. Allo stesso modo la Catèria non è la mafia. Anche nel racconto che mi è capitato di fare da cronista mi sono reso conto che i confini tra forme di illegalità tendono sempre a più sfumare, ad intrecciarsi, a confondersi sempre di più. La mafia negli anni ‘50 e ‘60 si palesava, voleva affermare la propria presenza nei paesi, dove si conoscevano i boss ed i capimafia, oggi si nasconde ed a volte non sappiamo dove, sotto quale veste, in quale dimensione. Allo stesso modo ci sono delle attività apparentemente legali che svolgono azioni non esattamente legali. Quando ho deciso di descrivere un’organizzazione criminale ho provato a mettere insieme alcune caratteristiche che sono della criminalità organizzata per come la conosciamo ma anche per quelle che sono le lobby, i comitati d’affari, i luoghi di potere in cui molto spesso attorno allo stesso tavolo si siedono tante cose diverse. Io ho provato a raccontare la Catèria in questo modo e non è stato semplice.
Nel romanzo ci sono diversi riferimenti a scrittori siciliani come Sciascia, Pirandello ma anche stranieri come Borges, di cui tu forse ti senti più vicino o ti rivedi. C’è una frase di Borges che riprendi dalla raccolta di racconti “Finzioni” “la verità storica non è mai ciò che avviene, ma ciò che noi giudichiamo sia avvenuto, secondo come ci è raccontato” Perché questi riferimenti?
Qui c’è la mia passione per i libri, per la lettura, e l’ho disseminata per tutto il libro, anche attraverso citazioni non palesi. Borges l’ho citato per un motivo particolare. Se io dovessi trovare un tema fondamentale di questo libro, io penso che sia un libro sulla verità, sul senso della verità. Aver letto il libro di Borges “Finzioni” che gioca con il concetto di verità e realtà, verità storica ed invenzione era un’occasione ghiotta per riflettere su come la verità può essere deformata, diventare strumento di gioco e di sperimentazione. Rileggendo “Finzioni” dopo un po’ di tempo, ho scoperto una curiosità che i racconti di questo libro si sposavano perfettamente con alcune parti del mio romanzo, era come se ogni racconto di Borges narrasse anche un po’ un pezzo del mio romanzo e quindi l’ho fatto scorrere lungo tutto il racconto, in qualche modo è un racconto parallelo al mio. E questo è divertimento puro.
Tra i personaggi c’è anche un giornalista, Solano, conduttore della trasmissione televisiva dal titolo “L’ Aquilone”, ogni volta dà inizio al suo programma con il gesto della mano che indica una V per dire ai telespettatori “qui trovi solo la verità”. Considerando il contesto attuale e le sfide che l’informazione affronta, quali aspetti ritieni siano necessari per garantire un’informazione affidabile, completa e imparziale? Di che cosa ha bisogno realmente l’informazione di qualità nel nostro paese?
Ha bisogno di un pubblico diverso. Forse ci stiamo troppo abituando a posti dove si grida, si urla, si fa sensazionalismo a tutti i costi, ma la domanda vera molto spesso sfugge. La questione vera rimane sempre sullo sfondo. Probabilmente abbiamo bisogno di questo, nel romanzo il presentatore apre il racconto con il segno della verità, ma a lui la verità non interessa, lui parla ad un certo punto con i protagonisti, e gli dice che in realtà il loro ruolo è fare gli “omogeneizzatori”, prendere i pensieri, prendere i concetti triturarli e farli diventare una pappetta buona per darla ai telespettatori che possono mandarla giù senza neanche bisogna di masticare. Ed è un po’ una deriva che ho registrato nel mio lavoro, del quale sono colpevolmente corresponsabile in quanto giornalista. Abbiamo bisogno di qualche domanda in più, di qualche decibel in meno e di una maggiore profondità.
Tutto resta immobile come nel Gattopardo, cambiare perché non cambi nulla. C’è una speranza che raccoglie l’eredità dei tanti paladini di giustizia che hanno sacrificato la propria vita per combattere e rimanere dalla parte dei giusti?
Oppure come dice il protagonista, Bruno Ponente, conviene impreziosire la nostra nullità con il potere anche farcendolo di bugie e maschere?
A volte l’esempio di chi si è speso per la giustizia, per combattere la criminalità, la mafia nella nostra regione, a volte questo esempio è stato usato, non sempre in buona fede ed io ho provato a raccontare anche questo. Da cronista politico ne ho viste tante, ne ho scritte tante e tante non ne ho potute scrivere ed in qualche modo le ho camuffate dentro il libro. C’è stata una stagione in cui ho registrato una certa retorica definita legalitaria che portava alcuni esponenti politici ad attribuirsi una superiorità morale, utilizzata come strumento per fare carriera, per fare politica; una delle cose che racconto nel libro è che a volte è stata usata come strumento per distruggere carriere, distruggere vite, distruggere l’immagine di persone.
Se Giustizia, libertà, solidarietà, interesse comune perdono consistenza, si adattano ed indossano le maschere dell’opportunismo, il romanzo di Accursio ci invita a svelarne gli inganni ed a non abbassare la guardia.
L’ascesa del gruppo politico dei “Giusti”, è un’occasione mancata di riscatto. I suoi membri si presentano come i depositari della verità, e di una moralità integerrima che abusa di una comunicazione retorica, rassicurante per ingannare e tradire le promesse del corpo elettorale.
Nel vuoto delle parole l’invito è restare accorti nel riporre la fiducia in chi vuole usare il potere con l’inganno, è non farci trovare sprovveduti, inesperti. La responsabilità sta nel non affidarsi senza avere verificato e ponderato.
Giulio, il governatore della regione, affascinato dal potere, inesperto dei giochi sporchi della politica, rappresenta chi vuole apparire ciò che non è, perché gli altri lo possano ammirare e dire che è il migliore
Cambiare, però, richiede sacrificio, impegno, coerenza ed allora la responsabilità sta nel saper scegliere consapevolmente da che parte stare.