Immagini di arte e di natura nel viaggio di Goethe in Sicilia

«Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni …? »
Canto di Mignon. (Il Noviziato di G. Meister, Libro III).

Partito per l’Italia il 3 settembre 1786 da Karlsbad, dove si trovava in villeggiatura, Goethe sarebbe rientrato a Weimar solo nel giugno del 1788. L’Italia costituisce per lui in un certo senso la rivincita della poesia, troppo sacrificata alle esigenze della vita di corte e dell’attività politica ed amministrativa, l’attuazione di un sogno vagheggiato sin dall’infanzia. Dopo un compiaciuto soggiorno a Venezia, dopo una superficiale tappa toscana, egli si dirige verso Roma. Qui respira un’aria del tutto nuova, è a contatto con l’antichità classica, ammira la campagna romana e le cerimonie pontificie. Altri due soggiorni beati gli offrono Napoli e la Sicilia.
Su Goethe ed «il bel paese degli aranci in fiore», è stato fatto in Germania ed anche da noi molto sentimentalismo, molta minuziosa ricerca erudita. Cosí come Goethe si preparò con entusiasmo tedesco e con tedeschissima coscienziosità al suo viaggio; allo stesso modo studiosi e viaggiatori goethofili, credettero spesso di dovere rivivere in Italia le medesime impressioni ed emozioni. Gli occhi del viaggiatore, troppo abituati al rigido e lineare gusto neoclassico, si aprono al colore meridionale soltanto in Sicilia.
Spinto all’inizio, più che utilità, di matrice illuministica , alla maniera del padre «Johan Caspar» Goethe sembra essere mosso dalla curiosità e dal bisogno personale di fare nuove esperienze.
Il motto che Goethe propose al primo volume del suo «Viaggio in Italia» (1816): «anch’io in Arcadia», si potrebbe generalmente usare per il viaggio borghese a partire da Winckelmann e da Rousseau ,vi è presente un fatto utopico, un ardente desiderio di rivivere, in senso originario, la natura e l’arte.
Gli elementi costitutivi di questa tendenza sono: l’osservazione, il raccoglimento e l’esperienza di vita. Mentre per l’epoca moderna è cosí importante il carattere utopico e sentimentale del viaggio, che deve condurre alla natura originaria, nulla di simile si può dire del mondo antico. Il modo di viaggiare degli antichi, a differenza di quello moderno, conserva un suo carattere oggettivo, anche quando non si tratta di viaggi di affari. Al centro di interesse, anche nel caso di grandi fenomeni naturali, sono sempre le curiosità
«M’intendo troppo poco di queste cose ed un viaggiatore semplicemente curioso è inviso agli intenditori e agli amatori».
La sfera del soggettivo e dell’interiorità non si può dire che manchi, ma viene oggettivata soprattutto in forme mitologiche e religiose. Sarà proprio questa forma di religiosità scientifica, a condurre il Goethe «in quel paradiso meridionale dato da un aranceto reso piú nobile e significativo dall’alloro e dal mirto».
Una motivazione importante del viaggiatore moderno è data dall’esperienza del paesaggio, in particolare, come avviene nel caso di Goethe, durante il suo soggiorno in Sicilia, dalla natura: pura, incontaminata e selvaggia, in opposizione al mondo civilizzato.
Dall’osservazione attenta della natura meridionale, dalla intensità dei suoi colori e dei suoi profumi, nascerà l’indimenticabile diario goethiano.
Giunto in Sicilia il poeta sarà infatti stupito da «un sole che getta tutti i suoi raggi», «da un vapor chiaro che dà una mano d’azzurro a tutte le ombre» Soltanto nella parte relativa al viaggio in Sicilia, troviamo infatti vere e proprie descrizioni del paesaggio e del cielo luminoso.

«La luce, che piove dall’alto e tutto circonfonde, è azzurra e rende azzurri i contorni delle cose, attenuando in una delicata armonia i colori piú diversi, pur sempre vivissimi delle rocce, delle piante e persino degli abiti delle donne».

Vi è soprattutto un accordo indefinibile tra l’azzurro delle ombre e quello delle superfici luminose.
Il linguaggio pittorico, occupa all’interno del diario un posto di notevole importanza.Le descrizioni naturali del paesaggio e dell’atmosfera, sembrano infatti prevalere su quelle delle opere d’arte. Al linguaggio prettamente iconografico, si affianca tutta una serie di dettagli e di particolari direttamente connessi alla sfera emotiva. Sorpreso di fronte all’incanto dell’isola, Goethe dirà infatti nei pressi di Girgenti: «Non riuscivo a comprendere come Cerere avesse potuto elargire cosí generosamente i suoi favori» Come è noto, quest’isola, famosa per la sua natura, non meno che per l’arte, è in precedenza conosciuta dal Goethe, attraverso le attestazioni del viaggio compiuto nel 1767 dal Riedesel. Sebbene i due diari presentino non trascurabili differenze, i due viaggiatori sembrano concordi in merito alla singolare unicità del paesaggio, che suscita in loro stupore e meraviglia. «Pare che la natura, cosí come appare agli occhi del Riedesel, abbia voluto provare all’arte che l’opera delle sue mani è infinitamente piú perfetta e piú maestosa di ciò che quest’ultima produce a forza di travaglio e di applicazione». Il rapporto con l’arte in Sicilia, è comunque da Goethe vissuto in modo meno diretto rispetto a quello della natura. Nei confronti della prima infatti, il Goethe si fa guidare, come è noto, «da quel filo del Winckelmann, che lo accompagna attraverso le differenti epoche dell’arte»

«Il poeta rivisse e potenziò a modo suo l’intuizione winckelmanniana della statua greca, ma alla statua, compiutamente chiusa e felice in sè, sostituì piú che altro un’immagine di geografia mitica, l’isola dei beati, la cui beatitudine è nel compiuto isolamento»

Il rapporto con questa immagine della grecità, non presenta comunque, durante il suo soggiorno in Sicilia, un carattere sempre uguale né rispetto all’arte, né rispetto alla natura stessa. Alcuni passi mostrano infatti il contrasto tra ciò che Goethe in realtà piú che notare sembra immaginare, e ciò che si riscontra realmente nel paesaggio. Nei due famosissimi versi della Nausicaa,15 che offrono il piú compiuto quadro goethiano del paesaggio della Sicilia, mancano infatti i colori ed i profumi della natura meridionale. Il quadro di notevole ampiezza e profondità, tutto goethiano e soltanto goethiano, crea un’armonia di sogno fra i tre grandi elementi cosmici: terra, mare e cielo. «Un bianco splendore riposa su terra e mare, e l’etere si libra, vaporando senza nubi».

Come si nota nei versi di Goethe, manca ogni colore, manca persino l’azzurro sul cui magico valore il poeta insiste invece tanto nel Viaggio in Italia. «Non vi sono oggetti o contorni limitati, vi è il senso della sterminatezza, ed un senso di equilibrio evocati dalla magia di uno spontaneo rapporto cosmico»

Si potrebbe essere portati a notare come le modalità dell’osservare in Goethe conservino la matrice neoclassica, accuratamente dettagliata e contemplativa: «Il piú bel tempo di primavera ed una fertilità lussureggiante diffondevano su tutta la valle un sentimento di pace che consolava; ma ce lo guastava, con la sua erudizione quell’importuno che faceva da guida ( … )». L’osservabilità come momento di «quiete», può essere ancora considerata di matrice winckelmanniana, ma l’oggetto osservato, nella fattispecie l’isola, è oggettivamente distante dalla sfera della grecità, pur conservando intatta l’idea del primigenio e dell’esotico.

«Sebbene infatti Goethe segua Winckelmann come autorità e cerchi di vedere con i suoi occhi, l’esperienza estetica diverrà per lui nuovamente problematica».

Le descrizioni goethiane non presuppongono solo la percezione di scene pittoriche, ma anche l’idea piú profonda che nel Sud abiti una umanità piú libera e piú semplice. Giunto infatti a Monte Pellegrino, proprio all’interno della grotta di S. Rosalia, il poeta dirà: «Un gran silenzio dominava in questo deserto che sembrava restituito alla morte ed una grande pulizia in quella grotta selvaggia; il falso orpello del culto cattolico e specialmente siciliano, appariva qui in tutta la sua naturale ingenuità».

A rendere piú complessa e multiforme l’esperienza goethiana, contribuirà l’interesse del Goethe per il paesaggio, non solo in senso estetico, ma anche naturalistico ed economico. Per andare a vedere i campi di grano siciliani, Goethe rinuncerà infatti persino a visitare Siracusa: «( … ) Invece di costeggiare Siracusa, avrei dovuto attraversare l’interno dell’isola, nel qual caso di campi di grano ne avrei incontrati abbastanza. Cosí seguimmo il suggerimento di lasciare da Le osservazioni scientifiche, come si vedrà, occuperanno all’interno del diario, un posto di notevole importanza.

Durante il suo soggiorno Goethe svilupperà infatti un suo modo di vedere l’arte in rapporto all’inclinazione della propria natura ed al proprio modo di considerare le scienze naturali. D’altra parte, come è stato in precedenza opportunamente individuato dalla cultura italiana, «la chiave della Weltanschaung goethiana, non è nelle sue opere di poesia, ma nei suoi studi naturali, anzi questi schiudono il segreto di quelli».
Goethe sembra pensare per analogie di particolari, non per mezzo di concetti, ma di oggetti.

A ciò si accoppia un modo soggettivo di osservare e di pensare: «Quel suo pensare con gli occhi, pensare come guardare, l’io trascendente non al di fuori, ma nella natura stessa».
«Non è piú la natura che si vede, ma soltanto dei quadri distinti, quali il pittore piú provetto avrebbe ottenuto, staccandoli l’uno dall’altro, mediante sfumature azzurrine».
Attaccato alla terra, madre provvida di tutti, non pensa sia possibile, né desiderabile, trascenderla. La natura, intesa in senso piú ampio, è per Goethe l’immagine dell’immensa vastità marina, in rapporto alla quale, piú chiara si fa anche la misura dell’essere umano rispetto al mondo. Prima ancora del suo soggiorno in Sicilia, del resto, proprio durante il suo viaggio verso quest’isola, Goethe stesso dirà: «Se un uomo non si è visto circondato dal mare, non può possedere un’idea del mondo, né della sua relazione con il mondo».

Un’altra immagine che riuscirà a colpire particolarmente il poeta, sarà quella di S. Rosalia: giunto all’interno della grotta, Goethe «non si sazierà di contemplare la figura, ( … ) la cui veste di stagnola dorata imitava alla perfezione una stoffa riccamente intessuta d’oro».
Dentro il fresco umido di una grotta nel sottobosco, la figura trapassa in illusione che sollecita l’abbandono contemplativo: «( … ) E mi abbandonai completamente all’affascinante illusione della figura e del luogo» Sarà infine «il luogo piú meraviglioso della terra, e precisamente il
Giardino Pubblico di Palermo (Orto Botanico), a trasportarlo nella «antichità»: «aiuole che verdeggiano intorno a piante esotiche, pareti alte di oleandri, adorne di mille piccoli fiori rossi … ». Alberi tropicali, intricata vegetazione, specchi d’acqua, pesci d’oro e d’argento vi scorrono nel folto del muschio, tra canne e piante. «Il verde loro racchiude il giallo e l’azzurro, ma piú intensi entrambi».

Cosí quel giardino diviene per Goethe figurazione dell’isola beata dei

Feaci: acquista un Omero legge «con grande edificazione quel canto», Dopo qualche giorno intuisce già «la disperazione lirica della separazione da questo paradiso».
Ritorna al giardino e medita il disegno della sua Nausicaa, ne abbozza ed elabora alcuni passi e, sopra un quinterno di carta azzurra, ne riporta le note.
Si reca ancora una volta al giardino pubblico, con il proposito di immergersi nella quiete dei sogni poetici. Si presenta l’intuizione di una forma pura, capace di attrarre ed accomunare forme differenti di tanta ricchezza ed opulenza di vegetazione.
Goethe ricerca strutture simili e le trova nelle piante: «e le riscontrai sempre piú simili che diverse». Come è noto, Goethe dedicò decenni a minuziose e metodicissime ricerche di botanica ed ottica, divenendo, da invasato delle forze della natura, indagatore delle sue leggi piú profonde.

Non a caso si parla a tal proposito di una sostanziale indivisibilità del poeta e dello scienziato. Il risultato delle sue particolari osservazioni è una concezione unitaria della natura, aperta all’incanto del poeta ed alla precisione dello scienziato, al pensiero dell’indagatore ed all’emozione dell’artista.

«E cosí ogni creatura altro non è se non un tono, una sfumatura di una grande armonia».

Su ogni sfondo seguita ad allargarsi la natura, le sue linee si distendono, i suoi profumi si diffondono. La stessa volubilità erotica si trasfonde nella natura, si fa volubilità cosmica, amore ed incessante metamorfosi. Tutto questo si fa piú vivo in Sicilia, laddove la riflessione critica, aperta direttamente alla natura, precisa infine con chiarezza la concezione dell’humanitas goethiana: «egli sperimenta il demoniaco delle forze della natura ed il demoniaco che sente fremere nella propria anima e, quel che piú conta, sperimenta la loro sostanziale identità realizzando con ciò un nuovo sentimento dell’uno-tutto, in cui il genio e la natura diventano una cosa sola».

Il senso della natura richiama quello della poesia, si fondono l’un l’altro e l’esito germoglia come la pianta originale, come lo splendore di una foglia.

Sarà dunque proprio il giardino pubblico di Palermo a far balenare a Goethe l’idea di questa pianta «originaria» «Urpflanze», forma primitiva stelo che cresce verso l’alto, con nodi, ognuno dei quali dà origine a foglie ed a rami, considerato da Goethe analogo allo schema dell’animale.

L’albero della vita rappresenta il modello supremo della riconciliazione dei due opposti movimenti, le cui oscillazioni laterali si armonizzano con la spinta verso l’alto. Le polarità ed il potenziamento costituiscono le due grandi molle della natura, capaci di annullare il dualismo tra materia e spirito.

«Scaturisce in natura una pianta. Si sviluppa ed allarga la sua influenza in foglie, si esibisce nei cicli profumati dei fiori; trattiene condensata la sua energia nel seme, e questo si espande per l’aria e per l’acqua».

«In quanto concepiamo la materia nella propria materialità, essa conosce soltanto l’attrazione e la ripulsa, cioè la legge della polarità; in quanto la concepiamo nella sua spiritualità, essa è moto incessante verso l’alto».

In una misura generale, che è equilibrio, nasce la vita. «La concezione organica della storia stabiliva, come si è visto, un rapporto intimo tra l’uomo e la natura, che doveva garantire l’armonico sviluppo dell’umanità, in nome di quella Bildung, che era superamento della natura demoniaca dell’uomo, entro la forma e nella legge universale della

«Urpflanze», capacità di percepire quasi con i sensi le forze cosmiche, e di adeguarsi spontaneamente al loro nascosto ritmo. Goethe avrebbe dunque intuito, proprio sotto il limpido cielo del mediterraneo, tali forme originali di natura. Da successive riflessioni sarebbero derivati gli studi dedicati al regno vegetale, ed insieme con questi, quelli dedicati ai colori».
Di tale immagine del meridione il poeta conserva «memoria» nel «Noviziato del G. Meister».
Questo leitmotiv della poetica goethiana si estende e si sintetizza in forme sempre piú complesse ed articolate.

Si designa via via una figura piú completa: richiama e rinomina i luoghi dove questa idea di natura rivela le sue forme infinite, rilucenti come una «giornata d’estate»: scaturisce e si eleva il nome di Mignon.

Mignon indica di continuo i luoghi suoi propri, che sono quelli della luce del meridione classico attraverso il famoso canto, la cui formula incantatoria ha ispirato molti lettori: « … Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni …? »

Tra le figure del periodo, primeggia quella di Cagliostro, rappresentante par excellence dell’aspetto piú vistoso, ma anche piú superficiale di questo tramonto dell’assolutismo.

Si può avanzare l’ipotesi che, nel Goethe, durante il suo viaggio in Sicilia, fossero anche presenti interessi direttamente connessi con la sfera esoterica.

È indubbio comunque il fatto che il poeta subì il fascino di una personalità come quella di G. Balsamo, «Conte di Cagliostro», che non conobbe mai direttamente, ma di cui visitò la famiglia a Palermo nell’aprile del 1787, e su cui tenne una conferenza a Weimar nel 1792, scrivendovi anche un saggio.

La partecipazione del poeta alla loggia massonica è accertata, anche se, a tal proposito, è opportuno puntualizzare che egli rimase sempre il consapevole erede di una tradizione umanistica, che non poteva di certo accettare l’eclissi totale della ragione nella notte dell’occultismo. La massoneria costituì per lui anche il luogo della «Geselligkeit», dell’urbano e fraterno intrattenimento dell’uomo con la natura. La loggia massonica divenne in tal modo il tempio solare «dell’amore umano, che include gli attributi di speranza, bellezza e forza» e cosí per sempre rimarrà e sarà raffigurata nel suo famoso racconto «Das Märchen».
A tal proposito, come ha opportunamente notato Baioni, «Mignon rappresenta la sublimazione dell’amore, tema squisitamente poetico in Goethe; nel senso chimico del termine, ovvero del passaggio che avviene in natura da uno stato solido e concreto ad uno stato eterico, affine all’aria ed alla luce».

«La perenne innocenza del paradiso mediterraneo», argomento-spia dell’eterna ricerca del mitico e del primordiale, svela tuttavia, sempre secondo Baioni, «la totalità stessa dell’anima umana», riflessa nella forma androgina di Mignon, «creatura totale ed indifferenziata», proprio per questo immersa «nell’insondabile elementarietà della natura umana».

Maria Angela Storti

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