Recensione del libro “Ti posso chiamare Fratello?” di A. Turrisi e R. Puglisi
Ti posso chiamare fratello? di Alessandra Turrisi e Roberto Puglisi (San Paolo editore) ripercorre la vita di Biagio Conte, ovvero una vita di chi sa sprofondare nell’inferno dei fratelli ultimi per trarli fuori dal buio delle vite a perdere e delle esistenze che, invero, non sono vita. Le pagine del libro ci fanno sentire e vedere quel mondo oscuro, quell’oltre, quello di chi vi è là sprofondato, senza nemmeno avere voce per chiedere aiuto, o senza più voglia di chiedere aiuto. Sono pagine che ci fanno sentire l’avventura straordinaria di questa quotidiana discesa agli inferi che, invero, diventa una continua tensione alla luce, a far risalire alla luce, appunto, tutti quegli esseri umani senza volto, quegli scarti umani senza più dignità che Biagio guarda negli occhi, che Biagio abbraccia. Per essere loro credibile, Conte entra nel loro mondo, condivide le loro sofferenze, se le addossa, diventando lui stesso un senza casa, un girovago, un barbone come il mondo chiama questi fratelli ultimi. Biagio si fa pescatore di uomini e donne, ma di quelli che invero di umano non hanno quasi più niente. Si fa pescatore di uomini e donne dai destini negati, dalle vite negate. E questo “trovatore” di fratelli restituisce ad ognuno di loro il diritto alla dignità. Come San Francesco, in queste pagine sentiamo il santo già in vita che dice di lasciare tutto ma, invero, per “prendere” tantissimo, per prendere nel suo abbraccio i tantissimi nella disperazione più vera, quella di chi è senza più patria, tetto, quella di chi è schiavo, in vario modo, di droga, magnacci, alcol, quella di chi è stato carcerato, ma, ancora resta recluso tra le mura asfissianti del bisogno, del non avere lavoro nè ruolo; fratel Biagio, insomma, si fa carico veramente della croce di ognuno di questi uomini “scarti”, e in quella croce lignea che si porta sempre in spalla, le croci di tutti i fratelli ultimi ci sono tutte. Quelle croci se le porta dentro l’animo in cui mai di quegli uomini scarti nessuna croce manca: è il suo animo, infatti, “il paese più straziato”. Questo libro l’ho letto sempre tra le lacrime in ogni pagina, perché ogni pagina “provoca” ovvero “chiama avanti”, chiama ad uscire fuori da quel sè in cui gli uomini si barricano, ciechi e sordi verso il mondo altro da sè. Nei suoi viaggi, tra digiuni, sete, nutrendosi solo di acqua e pane (se e quando li trovava) Fratel Biagio ha sempre occhi per chi non ha pane e, se lo trova, a volte o lo divide o lo da ai fratelli affamati di cui, nei lunghi chilometri a piedi, si porta addosso e sulle spalle povertà e sofferenza. Queste pagine sono un continuo “contagio” d’amore, l’unico contagio che può risanare le anime chiuse in se stesse ossia perse e disertate dall’amore. Questo libro, a tratti, col sapiente incastonamento di passi legati alla cronaca di quelle quotidiane azioni “miracolose” – nel senso anche laico, etimologico, nel senso cioè di azioni portentose, prodigiose – di passi che sono le parole e la viva voce di Biagio, insomma, nell’architettura che con perfezione si armonizza come in un mosaico, mentre ci fa cogliere tutta la straordinarietà nell’ordinarietà dei giorni di Biagio, ci fa pure sentire, con forza, forse uno dei messaggi più commoventi e in cui Conte c’è tutto; ci fa sentire quel dolore che più di ogni altro a Biagio levava il sonno e cioè il vedere nei volti di quei fratelli “scarti” Cristo crocifisso, dimenticato e solo, ovvero l’Amore abbandonato dall’Amore. Questo libro ci fa “incontrare” Biagio, e certi incontri, si sa, sono giri di boa che cambiano la vita. Queste pagine entrano dentro l’animo di chi legge, perché il portento, il “miracolo” entra dagli occhi (miraculum: prodigio, da latino mirari), il miracolo, cioè, etimologicamente, attracca alla “meraviglia” nel senso di quell’essere che è “meraviglia” e, come tale, come Biagio, la ricrea, la produce in chi, stupito, lo contempla. Il valore di una vita vale anche dalle volte in cui ci stupiamo, ci meravigliamo, vale dalle volte in cui ci emozioniamo. Questo libro ci restituisce proprio la magia della “meraviglia” che incanta e turba gli animi di fronte al miracolo colto sempre con stupore, come tutto ciò che va oltre l’ordinario. E’ un libro, quello di A.Turrisi e R. Puglisi che solo può essere stato scritto con profondo coinvolgimento del cuore, da “due cuori e quattro mani”, come sottolineato da Sua Eccellenza Mons. Corrado Lorefice. E quando si scrive ab imo corde, dal più profondo, ossia anche ab imo pectore si entra nel più profondo di chi legge, in imo pectore di ognuno. L’energia trasfigurante della fede di Biagio arriva a trasfigurare le nostre anime sorde, il suo sguardo di luce arriva, ci guarda, ci chiama, ci scruta, illuminando gli angoli bui che ci oscurano dentro. La corsa accrescitiva di quel Vangelo che Biagio, più che predicare, aveva scelto di praticare, è narrata pagina dopo pagina. La vita di Biagio è una nuova pagina di Vangelo, il libro di Alessandra e Roberto è la trascrizione di questa nuova pagina evangelica, è eco di Vangelo, è miccia che accende l’animo di chi legge; si tratta di pagine incendiarie, ma sono incendi che salvano, che non creano il deserto, ma portano quel sacro fuoco che animava Biagio; quel sacro fuoco che nei digiuni era l’unica forza e la vera energia, nonchè l’unico vero alimento di tutti i giorni di digiuno e penitenza della sua vita. Si tratta, infatti, dell’unico fuoco che arreca quell’entusiasmo (da entousiazo SCRIVERE CON LETTERE GRECHE, ovvero termine legato ad en theòs e ousìa, ossia a quel termine, usato per la prima volta da Platone, che allude alla fortuna di avere il “nume” dentro nonché un intimo e profondo contatto col divino; insomma, chi non ha il sacro fuoco del divino dentro ha un cuore sempre nell’inverno, è un cuore d’inverno.
Chi ha entusiasmo, invece, vive una sorta di profondo “indiamento”, ha un Dio dentro di sè. Il mondo ha spesso avuto paura di questo “entusiasmo”, che già in sé è il prodigio dell’ “indiamento”. E, il nume dentro il cuore, si sa, provoca, a volte, scelte anche eversive e di dedizione estrema alla causa. Il Dio dentro che ha Biagio è il suo “entusiasmo”, il Dio dentro è un sacro fuoco. E, se poi è il Dio Cristo povero dei poveri, Biagio quel Dio/Amore lo vede in ogni uomo abbandonato e si strazia nel vedere, appunto, l’Amore abbandonato dall’amore, l’Amore lasciato senza amore. Questo libro coglie il vero miracolo in Biagio, e il miracolo che è stato Biagio, l’avere cioè ricevuto il “triplice dono” di poter vivere DA povero CON i poveri e PER i poveri. Per abbracciare gli ultimi, gli invisibili a tutti, da “fratello” deve loro affratellarsi, ossia, farsi povero come loro, deve vivere sentendo in sè tutto il loro dolore, condividendo la sofferenza non di barboni, vagabondi e sbandati, ma di suoi autentici fratelli. Questo libro, insomma, è l’avventurosa storia di un affondo nei più profondi inferni, ma sempre con la luce rassicurante di una speranza che deve concretarsi in un riscatto, in una salvazione come nel più dei casi è avvenuto per i fratelli nei quali Biagio si è imbattuto sempre con la fiducia della rinascita di quegli uomini dalle macerie delle loro vite finite in frantumi.
Antonella Chinnici