Steglitz*
E un giorno forse ti domanderai
Di un uomo senza età, delle sue piume nere
Dei figli abbandonati nel via vai
Delle stagioni che ti parlano straniere.
Ricordi che la vita avrà deciso
Come albe spettinate di pendolari
Vedrai alzarsi in volo al primo avviso
Del tempo che fiammeggia sui binari.
Gocciolerai promesse al bivio degli incontri
Dove bambina andavi ignara della mano
Che mescola le stelle inventa gli orizzonti
Rincorrersi di brezze sulla palma del destino.
L’eco di una marea ti bagnerà le labbra
Intorno fuochi brevi come trucchi della sera
Una casba solitaria che carezza la sua ombra
E due occhi immaginari in cui scoprivi la paura.
Nel falò delle mie storie all’imbrunire
Trema fioca l’illusione di un momento
Annegare queste lacrime nello stupore
Poi, sentirti ridere di note al vento.
In quella notte a spillo Berlino tornò bambina
Con le sue corde tese cafard di nostalgia
Steglitz come un paese, come un addio sulla panchina
Steglitz come un incubo ma che vale una bugia.
E cominciò a versarle gocce rare nel candore
Parole che alle vele suggerivano le rotte
Di un inverno che sbandava verso nuove primavere
Contro un’onda generosa come versi nella notte.
Le parlò di nuovi amori dei colori del mattino
Di finestre senza vetri che t’invadono gli odori
Di castelli senza pareti dove gioca a rimpiattino
Il giullare a piedi nudi che risveglia vecchi ardori.
Lei restava ad ascoltare il calore del suo polso
E quel battito di vene le sue ali nero inchiostro
Con un brivido alle vertebre ritrovò la libertà:
Viversi non è che attimo dietro una maschera
Di eternità.
*Tra il 1923 e il 1924, Kafka visse nella “ feroce” Berlino del primo dopoguerra. Un giorno, durante una passeggiata nel parco di Steglitz, s’imbatté in una bambina che piangeva, per aver smarrito la sua bambola. Kafka,dando prova d’intuito e tenerezza infiniti, provò a consolarla raccontandole di una lettera che la bambola gli aveva spedito, nella quale quest’ultima spiegava le ragioni della sua improvvisa partenza. Tornò a casa e scrisse quella lettera. All’indomani si recò nuovamente nel parco e gliela lesse. Così fece per qualche tempo, sino al giorno in cui la bambina, ormai rasserenata da quel gioco letterario, accettò la perdita.
Salvatore Colletta