Compassione per l’erba
C’è qualcosa – all’apparenza una povera cosa – che emerge tenace lì dove una crepa nel muro o una lastra sconnessa nel lastricato di basalto consentono ad umili particelle di polvere di aggregarsi, di farsi minuscolo grumo di terra, nel quale semi smarriti trovino dimora, si avvinghino al suolo sporgendosi a cercare un raggio di sole, una singola goccia di acqua che li disseti.
Il nostro procedere macroscopico non si interessa del destino delle infinitesime vite che ad onta di ogni ostacolo – non ultimo gli esseri umani – continuano a sfidare il buio dell’universo, il suo assordante silenzio.
Ma l’erba è forte. Assai più forte della smisurata presunzione degli uomini. È pronta a penetrare nei loro arroganti palazzi, a introdurre le proprie radici nelle più piccole crepe, sconnettendo con pazienza le giunzioni più solide e lasciando poi spazio agli arbusti, agli alberi, ai quali è affidato il compito di completare l’opera, di sgretolare ogni traccia del genere umano, così nefasto al pianeta.
L’erba è forte. E la sua forza è espressione di una lotta titanica tra la cieca brutalità dell’entropia e la tenace resistenza dell’evoluzione, tra l’implacabile procedere del buio e la necessità neghentropica del divenire, della vita.
Un tempo nutrimento di erbivori, che cibandosi di essa ne consentiva il rapido ricrescere in un ciclo simbiotico senza sprechi, l’erba è divenuta ostacolo e fastidio alle coltivazioni intensive, che si nutrono dello spreco immorale di risorse, cancellando l’esistenza di innumerevoli esseri, indispensabili al ciclo vitale ma divenuti fastidiosi ostacoli per il Moloc consumista.
L’erba, così come gli insetti e la sterminata genìa degli esseri che la saggezza dell’evoluzione ha inserito nel perfetto puzzle della biosfera, assediata dai diserbanti, sfregiata dal cemento, incenerita dalla furia del fuoco, prospera nelle enclavi che gli uomini hanno risparmiato per interesse, per convenienza o per disprezzo: aree inadatte allo sfruttamento agricolo, zone impervie, rocciose o desertiche, discariche mostruose, disperati bubboni della Terra.
Ma l’erba è forte. E ad onta dei nostri sforzi di cancellarla, cancellando noi stessi, sopravviverà alla nostra e ad altre specie.
Guardatevi intorno, mentre vi avviate alle vostre sempre più impellenti faccende. Guardate i bordi della strada che percorrete, o il cantiere abbandonato, circoscritto da precarie transenne. Alzate lo sguardo sulla facciata di un tempio o posatelo per un istante sul muro di cinta di un vecchio palazzo.
L’erba è lì, tenace.
In attesa di riprendere il suo spazio.
Santi Spartà