Escher
È ancora in corso a Roma, al Palazzo Bonaparte, la più grande e completa mostra dedicata a Maurits Cornelius Escher (Leeuwarden 1898 – Laren 1972), per celebrare i cento anni dalla sua prima visita nella Capitale, avvenuta nel 1923. Olandese di nascita e italiano di adozione, Escher visse a Roma per ben dodici anni, fino al 1935, quando, avvertendo il peso e la natura liberticida del regime fascista, decise di trasferirsi in Svizzera. La permanenza romana influenzò profondamente la sua arte. I soggetti delle sue incisioni furono soprattutto scorci, paesaggi, architetture e vedute di quella Roma antica e barocca che lui amava indagare nella sua dimensione più intima, quella notturna, alla luce fioca di una lanterna.
Inquieto, riservato e indubbiamente geniale, il nostro artista è tra i più amati in tutto il mondo. Con la sua arte, sempre attuale, ha avuto e continua ad avere la capacità unica di trasportarci in un mondo immaginifico e impossibile. È l’illusione di Escher che non ha eguali, fonte d’ispirazione, ancor oggi, delle più note maison di moda, di pubblicità, di riviste, di fumetti, mobili di design che magari molti hanno in casa, di scene famose di serie TV e film di grandissimo successo, da Harry Potter a Il nome della rosa.
L’artista era innamorato dell’Italia, viaggiatore incallito, con la voglia di perdersi, di appassionarsi ai luoghi e di sperimentare la fuga, spendendo la sua bulimia visiva tra gli scorci di paesaggio e le sue architetture mentali. In Italia arrivò nel 1922, giovanissimo, e fu subito amore. Egli instaurò con il Belpaese, “posto benedetto” come amava definirlo, un legame indissolubile. Qui visse gli anni più felici, si sposò, creò una famiglia e raccolse i primi successi professionali. I suoi diari, le fotografie, ma soprattutto le sue opere ne danno testimonianza. Anche dopo la svolta artistica verso soggetti astratti, nella composizione dell’immagine ritroviamo frequenti rievocazioni del paesaggio italiano. Viaggiò in lungo e largo, esplorò la penisola da nord a sud, immortalando nelle sue raffigurazioni le città e i piccoli borghi italiani. Dinnanzi alla città delle cento torri, la “Manhattan del Duecento”, disse: «Mentre le 17 torri di San Gimignano si avvicinavano sempre più [ero incredulo]. Era come un sogno che non poteva essere vero». [1]
Approdò anche in Sicilia, regione che riteneva così affascinante nell’architettura e nei tratti del paesaggio da provocargli un autentico e devoto “incantamento”. È proprio qui, ma anche in tutto il Sud Italia, che Escher maturò buona parte di quelle idee e suggestioni che caratterizzeranno, nel segno della sintesi tra scienza e arte, la sua successiva e matura produzione artistica e gli studi sulle forme che lo renderanno celebre. Nei suoi diversi soggiorni siciliani, Escher produsse numerose opere grafiche ritraendo città e paesi noti, ma ciò che fortemente lo appassionava fu la ricerca di luoghi “eccentrici”, solitari e sperduti, che meglio stimolavano la sua fantasia e immaginazione.
A impreziosire il percorso espositivo di Roma, che presenta al pubblico un’antologica di circa 300 opere, tra edite e inedite, c’è un pizzico di quella Sicilia inusuale, segreta ed evocativa, che meglio stimolava la sua fantasia e immaginazione. È la litografia Mummified Priests in Gangi, Sicily (1932), strana e inquietante raffigurazione dei preti mummificati all’interno della Chiesa Madre di Gangi, esposta accanto alle iconiche Mano con sfera riflettente (1935), Metamorfosi II (1939), Giorno e notte (1938), Vincolo d’unione (1956).
La tradizione vuole che Escher, appena arrivò nella piazza principale del paese, fu accolto da un gruppo di ragazzini urlanti che gli proposero di scendere nella “fossa di parrini”. L’artista si trovò circondato da mummie e volti di cera, scattò alcune foto e, tornato a casa, realizzò l’incisione. La cripta è una testimonianza unica del passato che arriva fino ai giorni nostri grazie alla perfetta conservazione dei corpi dei sacerdoti, morti tra il 1728 e il 1871 circa. Essi sono mummificati per essiccazione naturale, come nella tradizione del tempo, e vestiti degli abiti talari. La caratteristica più originale e interessante mostrata dai corpi, che costituisce un unicum all’interno dell’ampio record riferito alle mummie moderne siciliane e mediterranee, riguarda il trattamento destinato ai volti. Una volta terminata la mummificazione, sul volto dell’individuo veniva apposta della cera che ne ricostruiva, in maniera impeccabile, i lineamenti, una sorta di vera e propria maschera mortuaria. In alcuni casi i volti sono ricostruiti talmente bene che trasmettono ancora le loro espressioni naturali, il loro umore, l’atteggiamento e anche la postura. Caratteristiche che hanno spinto il National Geographic ad avviare uno studio scientifico su alcuni corpi.
Tra i personaggi illustri che riposano nella cripta c’è Giuseppe Fedele Vitale, massimo esponente della corrente letteraria dell’Arcadia in Sicilia, autore de La Sicilia liberata e segretario dell’Accademia degli Industriosi di Gangi. Da molti studiosi è considerato il più grande poeta dialettale dopo Giovanni Meli.
A dispetto del nome storico con cui è conosciuta la celebre sepoltura monumentale, indagini recenti hanno rivelato nuovi ambienti dove riposano i corpi mummificati appartenenti a donne e bambini di ceto sociale elevato.
La cripta è, quindi, una tappa obbligata per chi si appresta a visitare il Borgo più bello d’Italia e, parafrasando il sonetto posto in cima all’ingresso della sepoltura, è bene scendere da vivi a visitar la morte, prima che essa venga a visitare noi. È sempre meglio prevenire la sorte.
Roberto Franco
[1] M. Bussagli & F. Giudiceandrea, M.C. Escher, catalogo della mostra, Musei Civici di Treviso, Complesso di Santa Caterina 31.10.2015 – 3.04.2016, LONGO spa, Bolzano 2015, p. 25.