Quando c’era la neve

Sono nato la prima settima di gennaio nel lontano ’68, ma non mi posso definire un sessantottino e questo mi rattrista, non foss’altro perché, per indole, mi sento un rivoluzionario, ancorché pacato. L’aveva capito mia madre a pochi giorni di distanza dalla mia nascita quando si è accorta che mi rifiutavo di respirare come tutti gli altri bambini andando contro le regole imposte dalla natura.
In questa città dove sono nato e dove se fai il rivoluzionario in fasce ti schiaffano dentro un’incubatrice,
non faccio altro che trovare gente che non vede l’ora di andarsi a tuffare nelle acque di qualche spiaggia
vicina. Io invece, come un salmone che risale il fiume, amo dire cose controcorrente, che fanno storcere la
bocca a chi mi ascolta. Dico spesso, per fare un esempio, che il mare non lo amo più di tanto, sebbene lo
trovi divertente, ma solo il pomeriggio, quando il sole diventa clemente e le onde si alzano quel tanto per
surfarci sopra con la panza nuda. La domanda che mi fanno tutti dopo aver ascoltato quest’affermazione
è: “Ma sei davvero palermitano?”. Alla fine sono costretto ad ammettere che la mia stagione preferita è
l’inverno e ritengo che la mia data di nascita abbia influito non poco nel determinare questa mia
preferenza. A riprova di tale attrazione per la stagione fredda, posso dire che quello che la mia memoria
serba con maggiore affetto è sicuramente la neve sulle strade e sui tetti delle case della nostra città, una
vera rarità. Per quanto possa sembrare improbabile, se non impossibile agli occhi di molti giovani, a
Palermo la neve è caduta davvero in passato. Nevicate si sono registrate nell’immediato secondo
dopoguerra e poi nel ’56, nel 1962 e anche l’anno successivo, anno il ‘63 che si fa ricordare anche per la
costituzione, proprio a Palermo, di un movimento letterario di neoavanguardia, [F1]molto critico nei
confronti delle opere letterarie ancora legate a modelli tradizionali.
Ma torniamo alla neve.
Da quel lontano 1963, abbiamo dovuto attendere ben diciotto anni per rivedere imbiancate le nostre
strade. Il 7 gennaio del 1981 infatti ne arrivò così tanta da spingerci fuori dalle nostre case per giocare in
strada, specie in quei rari angoli di verde urbano dove la neve era intonsa. Molti di noi recuperarono dalle
cassapanche tutine termiche multicolore aderenti sul cavallo, scarponi caldi e guanti di lana. Eravamo tutti
un po’ ridicoli ma di certo divertiti come bambini al luna park. E in effetti questo eravamo, bambini
cresciuti che vedevano la neve per la prima volta sul marciapiede di casa. Eravamo tutti consapevoli che
presto, da lì a qualche ora, quel ben di dio con cui fare delle robuste palle da lanciarci addosso sarebbe
scomparso sotto le sferzate del sole siciliano sempre in agguato. Quindi bisognava fare in fretta per
approfittarne. Che importava se i guanti in lana, inadatti a maneggiare la neve, erano presto fradici e le
mani rosse di geloni. Che importava se le nostre tutine idrorepellenti ci facevano sembrare tutti dei
ballerini fila di Heather Parisi. Non importava nemmeno scoprire che i nostri “scarponi”, comprati
qualche anno prima al mercato di via Lattarini, avevano la suola di cartone pressato e i fianchi cadenti per
eccesso di morbidezza. L’importante era ridere, scivolare e colpirsi con le palle di neve.

Tutto questo Amarcord sarebbe però esercizio inutile se non fossi qui, nel mio piccolo, a ricordare alle
nuove generazioni che un tempo esistevano le stagioni – quattro per l’esattezza – così come ci avevano
insegnato a scuola le nostre maestre. Ci avevano detto che dopo l’autunno arrivava l’inverno il quale,
nonostante fosse considerato il più mite della penisola, ci avrebbe regalato alcune giornate così fredde da
rendere possibile persino una nevicata sulla nostra città vicina al mare.
Francamente non intendo seguire questa china di luoghi comuni per evitarvi l’abisso della noia e del già
detto. Quindi mi preme adesso rendere il discorso più serio e anche più triste, spingendo chi ha la bontà di leggere queste righe a riflettere sulla responsabilità che [F2]noi umani abbiamo nell’azzeramento delle
stagioni, nell’incremento costante delle temperature medie del pianeta, nella distruzione di quel mondo
che abbiamo tanto amato. E quando dico umani non mi riferisco a un gruppo indistinto e irriconoscibile di individui. Mi riferisco a te che stai leggendo e soprattutto a me stesso.
A me manca davvero la neve a Palermo nei giorni intorno al mio compleanno, fosse solo una possibilità
remota, mi manca pure quella. Vorrei indietro l’inverno con sporadici giorni di freddo intenso, e mi
mancano pure le tutine colorate. Adesso mi ritrovo, invece, con tre paia di scarponi da trekking in goretex
idrorepellenti, con il pile dentro per tenere il piede al caldo, usati solo un paio di volte. Una di queste
quando sono salito a Piano Battaglia [F3]per vedere se riconoscevo ancora la neve dopo tanti anni. La
seconda volta li ho usati quando a Palermo si è abbattuto un nubifragio biblico in pieno luglio, altra non
trascurabile conseguenza del cambiamento climatico. Sono sceso in strada con i miei scarponi ai piedi per
verificarne l’idrorepellenza, indossando ovviamente un paio di pantaloncini corti.
Possibile che il desiderio di rivedere l’anno ripartito in quattro stagioni distinte, con un inverno
chiaramente riconoscibile, sia solo mio? Io non desidero una macchina più grande e più potente perché
anche se ibrida contribuisce in modo sostanziale all’estinzione delle riserve di metalli rari. Non voglio
nemmeno una festa di compleanno con i giochi d’artificio carichi di polveri sottili altamente inquinanti e
nemmeno regali incartati in buste di plastica dalla vita media di venti minuti. Io desidero un’esistenza a
impatto minimo sull’ambiente e vorrei che questo desiderio fosse condiviso dal maggior numero di
persone possibile – non mi sento di dire dalla maggioranza perché non vorrei apparire folle – ma almeno
da una quota cospicua di giovanissimi che dovrebbero desiderare più di me la neve in città.
Per contribuire al risveglio delle coscienze sul tema ambientale ho deciso quindi di appostarmi davanti
alle hamburgherie più note della città per cercare di far capire ai ragazzini bellissimi e fighissimi, che ci
trovo il venerdì e il sabato sera, che esiste una forte correlazione – come direbbero i sapienti – tra il
consumo di carne rossa e l’aumento delle temperature, per quel metano che le vacche producono mentre
brucano l’erba cresciuta a scapito delle foreste pluviali rase al suolo. L’ultima volta che ho tentato di
spiegare a un paio di adolescenti come stavano le cose in merito al loro futuro, che non è messo proprio
bene, nello sforzo di trattenere le risate mi hanno sputato in faccia il residuo del loro hamburger di
scottona.
Nonostante l’affronto continuerò a riflettere su come oppormi all’idea, impossibile da sostenere, della
crescita continua che il capitalismo – causa prima della situazione attuale – ci ha inculcato e non smetterò
nemmeno di aver voglia di riveder la neve dalle mie parti. Possibilmente tra Natale e l’Epifania.

Mauro Li Vigni

[F1]Quale? Nominarlo
[F2]Sai che sono contro questi discorsi che responsabilizzano e colpevolizzano gli individui, peraltro in
un luogo, la Sicilia, che ha un impatto irrisorio sul riscaldamento globale. Chi distrugge il pianeta sono gli
attori capitalistici dei paesi più sviluppati e, da poco, la Cina e l’India
[F3]Poetico

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