Ascoltando la luna

PRESENTAZIONE 
Nella lingua dell’universo, la diversità è proprietà della natura, è varietà e variabilità degli organismi viventi. La luna con il suo percorso ciclico rappresenta il divenire universale, il continuo cambiamento nell’unità del sistema-mondo. La luna ci protegge, ci guida se non interrompiamo la comunicazione tra noi e lei, tra noi e la pluralità di un mondo ricco di segnali, che chiedono apertura, coraggio, amore.

Rosa e Beniamino nel romanzo di Agata Bazzi ne sono l’esempio. Rosa è diversa, la sua sensibilità fa paura, il dono che la natura le ha consegnato interrompe il circuito dell’ordinario, della norma. Beniamino, il figlio di Rosa, è un bambino fisicamente fragile a cui si associa la spiccata sensibilità del carattere. La sua diversità alimenta le paure, crea separazioni tra esseri che non si riconoscono più parte di un unico sistema-natura.

La luna accompagnerà le loro vite e quelle di un paese rurale dell’entroterra siciliano, in cui la storia farà da sfondo alle loro vicende tra resistenze e cambiamenti. Le lotte contadine, la fine della prima guerra mondiale, l’avvento del fascismo, fino agli anni ‘90 segneranno le vite di tre generazioni: Caterina la madre di Rosa, Rosa e suo figlio Beniamino.  

Rosa, è la strega del paese, Beniamino, la femminella, la loro diversità sarà un’opportunità di riscatto contro i pregiudizi, le maldicenze, le paure di una mentalità arretrata.

INTERVISTA

Com’è nata l’idea di questo libro? Tu racconti di un mondo rurale dell’entroterra che non ti appartiene, un mondo che realmente non conoscevi.

Sì, sì non lo conoscevo, sono assolutamente cittadina, nata e cresciuta a Palermo. Sono stata vent’anni a Milano, ho studiato urbanistica, sono una figlia delle città. Poi per lavoro sono andata nei paesi. Partivo con la mia automobile da sola, come una matta, in giro per le strade di campagna. Perché l’interno della Sicilia è completamente diverso da quello che noi conosciamo come il mondo della città e della costa, come il mondo che ha un rapporto con il mare. Andavo in questi paesi all’interno della Sicilia, mi sedevo alla mia scrivania e la gente veniva a raccontarmi delle storie: della loro famiglia, del tempo e del clima, dell’agricoltura, se pioveva oppure no. E tutto era senza tempo, non c’era un orologio, non c’era qualcosa da fare, c’era soltanto da ascoltare. Ho conosciuto personaggi, storie, emozioni che non ignoravo. E siccome le vite degli altri sono infinitamente più interessanti di quanto non possa essere un prodotto della fantasia, queste figure, queste persone, che piano piano sono diventate personaggi, hanno stabilito un rapporto tra loro.

I personaggi del tuo romanzo hanno assunto contorni così definiti da dare vita a figure psicologicamente profonde ed allo stesso tempo innovative. Un’evoluzione rispetto al tuo primo romanzo “La luce è là”. Un racconto che narra l’ascesa tra Ottocento e Novecento degli Arens, una famiglia d’imprenditori, di cui tu stessa sei discendente. In quest’ultimo romanzo invece il racconto biografico lascia spazio alla pura fantasia. 

Direi alla pura immaginazione, c’è una differenza tra fantasia ed immaginazione, perché non c’è niente d’inventato. La differenza tra fantasia ed immaginazione è che la prima racconta cose che non esistono, la seconda inquadra, arricchisce, crea emozioni di fronte ad un enunciato. Se tu mi dici sono arrabbiata io t’immagino tutta rossa, che sbatti i pugni sul tavolo, che chiudi con violenza una porta. 

Quando mi chiedono il rapporto con questo secondo romanzo, io rispondo che voglio bene a Rosa e Beniamino. E quello che succede è un rapporto affettivo che io ho stabilito con queste persone non con queste invenzioni. 

Rosa, è una bambina speciale, curiosa, sa ascoltare le persone e cerca di aiutarle mettendo a disposizione il dono della sua sensibilità. Una sensibilità che si manifesta in percezioni, visioni che rendono evidenti i legami tra cose e persone, tra passato presente e futuro. Un dono che amorevolmente Rosa mette a disposizione, a servizio di chi ha bisogno. Amare è sempre saper servire gli altri? È facile portare il bene ed esserne testimoni?

Non è facile. Credo che il segreto sia l’ascolto. E perché ci sia l’ascolto, ci deve essere la generosità. Io penso che la magia di Rosa è generosità, è voglia di mettersi a disposizione, è imparare ad usare le cose perché possano essere utili agli altri. Ma non sempre l’amore è quest.

Rosa proprio con il figlio che ama più di tutti, cioè con Beniamino, non ci riesce. 

Agata, tu ci fai immergere nel dramma di Beniamino, nei suoi conflitti interiori, nei suoi silenzi, nella sua rabbia che diventa lentamente parte di noi. Beniamino si chiede cosa sia la normalità. Decide di non nascondere la sua diversità, la sua omosessualità, ma il contesto in cui vive non è pronto, mostra resistenza e riconosce, nel falso moralismo, solo un’unica forma d’amore. La diversità si presenta con diverse sfaccettature, le differenze continuano a sfidarci, ci pongono davanti a degli interrogativi a cui da soli non è facile rispondere. Di che cosa ha bisogno “la diversità” per essere accettata e rispettata?

Una volta ho presentato questo romanzo in una scuola, ed un ragazzino di quattordici anni ha fatto un’osservazione che io continuo a citare. Ha detto “Ma se ognuno è diverso, nessuno è diverso”. Se ci pensiamo è questo il segreto. 

Di che cosa ha bisogno la diversità? Di essere considerata una normalità. Ognuno di noi è diverso, tu sei diversa e io sono diversa. E questo non ci rende né migliori né peggiori, ci rende semplicemente essere umani. È di questo che ha bisogno il mondo. 

Beniamino si trova a vivere la trasformazione del paese rurale che cresce lungo i margini, invade la campagna e trasforma le terre in cantieri per la costruzione di case e palazzi, senza ordine e bellezza. “Il suo senso estetico ed il suo legame con la natura si scontravano con la distruzione della campagna attraverso un’edilizia modesta ed al tempo stesso arrogante”. Nonostante il paese si sia trasformato, Beniamino conosce la città ma non vuole viverci, in paese, dice al suo compagno Ferdinando, non si è mai veramente soli. Oggi i paesi dell’entroterra, e non solo, possono ancora svolgere un ruolo? Quale rapporto hanno con le città? Secondo te sono destinati a scomparire?

Non credo che i paesi siano destinati a scomparire, perché nei paesi esiste una cosa che in città non c’è, è l’incontro. Il rapporto tra le persone è un atto di volontà perché si abita fuori, si abita lontano. Per andare in piazza devi prendere la macchina. Lo spazio è talmente tanto che, a parte quelle pochissime forme di aggregazione veramente minime consentite dal paese per la sua dimensione, gli incontri sono tutti atti volontari. Questo cambia moltissimo secondo me il rapporto tra le persone. Esiste una straordinaria solitudine nella natura, esiste una straordinaria voglia di vedere gli altri, esiste poi l’incontro casuale quello che io chiamo l’affetto della consuetudine. Questa è una ricchezza che in città è scomparsa, in città siamo frastornati dai troppi incontri, dai troppi spazi, dai troppi rumori. Io trovo che i paesi, e devo dire esiste un fenomeno di ritorno nel paese, abbiano dei valori che proprio in questa epoca dei social, della piazza del web si sono smarriti. Allora se uno stabilisce una relazione attraverso tutte le tecnologie di questo mondo, una relazione mondiale, poi quando vuole vedere un amico deve andarci, senza essere affollato, schiacciato dagli infiniti e inutili incontri della città.

Scienza e magia, naturale e soprannaturale, fede e stregoneria sembrano perdere i confini nel tuo romanzo. Rosa dialogando con Enrico, uno dei personaggi di cultura del romanzo, sostiene che i miracoli come la manna dal cielo, l’apertura del mar Rosso, i santi che salgono in paradiso sono magia e addirittura anche la matematica. “È qualcosa di soprannaturale che in qualunque epoca, in qualunque luogo del mondo, parlando qualunque lingua, i numeri diano sempre gli stessi risultati” Oggi nell’era dell’intelligenza artificiale c’è ancora spazio per la sensibilità, per quella capacità di saper ascoltare la voce della natura, per riconoscere ed accogliere la sua superiorità e lasciare che ci guidi e ci protegga?

Io credo che ciascuno di noi vive in una forma magia, poi è una questione di parole, chiamiamola come vogliamo. Io non presento questo libro se non ho questo ciondolo attaccato al collo, non presento nessun libro se non ho un anello di mia madre. Questo che cos’è? Superstizione, magia, affetto, legarsi al passato, alle cose belle della vita?  Io non lo so. Succede a tutti, ti penso e ti telefono, perdo una cosa e poi attraverso una serie di rituali anche un po’ ridicoli che ognuno di noi fa, la trova. Tutto questo non ha nulla a che vedere con l’intelligenza artificiale, nel senso che possono convivere. 

L’intelligenza artificiale va avanti per la strada sua, ognuno di noi va in giro con il suo ciondolo, con il suo amuleto, con le sue qualità umane che comprendano anche la natura, il non capire. Non tutto è comprensibile, controllabile, governabile, c’è un’enorme quantità di cose che non lo sono, e meno male. 

«Queste storie non avvennero mai, ma sono sempre». così scriveva nell’antichità Sallustio, e così leggono in un’epigrafe del museo archeologico di Napoli Beniamino e Ferdinando. Il mito ha un valore ancora attuale? Può continuare a dirci qualcosa ed alimentare il nostro immaginario?

Le esperienze vengono da un passato lontanissimo, e vengono sublimate, immaginate. Ho letto un articolo scritto da un archeologo che trattava dei miti tradizionali, e ne parlava come se fosse il suo vicino di casa e gli faceva fare persino delle battute in dialetto. Parlava degli amori fra gli dei, del mito greco e ne parlava come io posso parlare del fidanzato della mia amica. Tutte queste cose hanno un rapporto di grande e affascinantissima complessità che non deve fare paura, deve semplicemente incuriosire, affascinare. Tuto questo si può approfondire, si può anche semplicemente accettare, l’importante è rispettarlo, questo sì, perché quelli che invece pensano di poter governare tutto con la ragione non vanno da nessuna parte.

CONCLUSIONE
Rosa ama incondizionatamente, ha saputo accettare il suo dono ed a metterlo a servizio degli altri.  Oltre le chiusure, le ottusità, i pregiudizi di un paese rurale che non vuole comprendere ed accettare. Rosa siamo noi, quando proviamo a metterci in ascolto degli altri, ad unire le tessere di un mosaico d’amore che non vede differenze ma accoglie l’altro. L’altro è anche Beniamino che coraggiosamente accetta sé stesso e la sua sessualità, affermandola con dignità al di fuori dell’odio, della violenza e degli inganni. 

Rosa e Beniamino sono l’ascolto dell’altro, nella continua ricerca di un bene da condividere, nell’esercizio costante del restare umani nonostante le differenze. Sono un tutt’uno con la narrazione che si fa forte di un substrato suggestivo, di atmosfere sospese tra realtà, magia e luce lunare. La luna, quella luna, che alla fine è l’unica ad indicare la strada da seguire.

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