La poesia è un canto di gratitudine
Nella Giornata Mondiale della Poesia, non potevo che rivolgermi a Lui, a Franco Arminio, il poeta che gira le città portando i suoi versi per le strade, in mezzo alla gente comune, ai passanti distratti, ai vecchi silenti e ai bambini curiosi. Il poeta viandante attraverso l’Italia. Uno zainetto in spalla e un paio di occhiali sul naso, dietro cui si celano due occhi verdi smeraldo. Il poeta delle cose semplici, dei gesti ordinari, dei paesi abbandonati e svuotati da quell’onda di progresso maniacale, da quell’ansia di avere una vita di successo, da quella disattenzione continua per cui lentamente muore lo stupore. Sento Franco perché voglio celebrare la Giornata Mondiale della Poesia, introdotta nel 1999 con l’obiettivo di promuovere la lettura, la scrittura, la pubblicazione e l’insegnamento della poesia in tutto il mondo. Sì, una giornata che sento molto cara, non solo fosse perché, proprio il 21 marzo del secolo scorso è nata Alda Merini, la poetessa che ha sempre attraversato e segnato la mia vita. Una giornata che sento non convenzionale ma sovversiva. Perché come dice Franco Arminio, se restiamo nel recinto dell’intellettualismo, chiusi nell’agone di una presunta perfezione, perdiamo di vista la vita fatta di pastiglie da prendere per sopportare il dolore, di caffè da consumare all’alba per andare in fabbrica, di balconi da cui sporgersi per guardare semplicemente un fiore che sboccia all’improvviso. Perdiamo di vista l’essenziale che è l’ordinario, non lo straordinario, la vita che pulsa, che continua incurante dei grandi e altisonanti discorsi accademici. La poesia è un coltello di luce, dice Anna Segre. Non è stata concepita per compiacere ma per fendere, aprire, guardare dentro. Guardare quello che accade tra le pieghe dell’anima, tra le fibre del corpo. Franco afferma che la poesia è la scienza dello sguardo. Il vero poeta è chi sa guardare. Chi sa vedere nell’ordinario lo straordinario che desta stupore, incanto, commozione. Una commozione come scrive Franco che schiarisce il cuore. Vi è una correlazione viscerale e intima tra lo sguardo dunque e la scrittura, tra la vista e la parola. Tra la cura e la postura nel mondo. Celebrare la vita è celebrare la sua resistenza continua alla morte. Celebrare la poesia è celebrare la sua sottrazione alla assuefazione, alla fame ingorda di denaro, alla logica del successo e alla maniacale ossessione dell’apparenza. La Poesia è la scienza dello sguardo. Se è così, è un esercizio continuo e indefesso di un occhio attento, accorto, concentrato a cogliere le più piccole sfumature, i più insignificanti dettagli, i più modesti e ordinari gesti. E questo ordinario è sovversivo, rivoluzionario. Scrive Franco: “Non c’è amore senza rivoluzione, non c’è rivoluzione senza amore.” Assioma perfetto. Se non abbiamo il coraggio di sovvertire, capovolgere, fendere, guardare dentro e attraverso non possiamo essere poeti. I poeti non possono essere creature comode, compiacenti le logiche del mondo, del potere, del successo, del denaro. La loro unica vocazione, guardare. La loro unica religione, la bellezza. La loro unica rivoluzione, l’amore. La loro unica salvezza, la gratitudine. Franco è il poeta che sa dire grazie. Il poeta che sa “chinarsi all’alba che ogni giorno spezza il buio, al ginocchio che funziona senza chiedere nulla, a un bicchiere di vino, al sorriso di una madre al suo bambino” e sa vedere e riconoscere in questo la grazia. Così nelle pagine della sua ultima silloge, Franco Arminio afferma: “In un mondo di lamenti e musi lunghi, il mio dovere è non tacere, è cantare che c’è luce per i vivi nelle contrade del mondo, che la crudeltà è di pochi.”
Franco è il poeta della gratitudine e della commozione. E la gratitudine per Franco è “una postura da costruire, è un piegare i ferri del nostro io. (…) La gratitudine è una conquista, non è un abito che si indossa. (…) La gratitudine non è un posto d’arrivo è una strada da percorrere per trovarne altre.” In un mondo sempre più egotico, egocentrico, cinico, distratto, assente, ebbro di successo, lo vedo e lo sento il poeta che camminando per i posti più desolati e arroccati, canta la gratitudine, la commozione che schiarisce il cuore, lo stupore, l’incanto, la semplicità delle cose che accadono ogni giorno, la grazia limpida e rivoluzionaria. Ecco la poesia che accade: “ringraziare semplicemente per il fatto di essere vivi.” Ringraziare per potere baciare ancora, abbracciare ancora, accarezzare ancora, desiderare ancora, respirare ancora. Tutto questo “è un modo di vendicare i morti nelle bare.” La poesia è resistenza militante alla morte. Quell’ancora diventa àncora. Àncora a cui tenersi saldi per celebrare la vita e la sua profonda, perenne, inesauribile poesia. Sono grata di avere conosciuto e amato la poesia di Franco Arminio e di potere oggi augurare a tutti buona Giornata Mondiale della Poesia, con i suoi Canti della Gratitudine, Ed. Bompiani. Nessun sentimento ci eleva al Cielo quanto la gratitudine e la riconoscenza. E se sei grato, se almeno ci provi ad esserlo, senti dentro una infinita e struggente gioia che è fratellanza e gesto gentile verso l’amico di sempre, verso il passante, lo sconosciuto, l’uomo in fila alla posta, alla cassa, nell’ingorgo mattutino del traffico. Se sei grato e solo se sei grato, puoi dire di essere uomo. Celebrare la Giornata Mondiale Della Poesia ha senso solo se ricordiamo a noi stessi che la poesia non è una cosa astratta, irreale, fittizia, lontana, un affare per pochi, una questione di anime elette. Non appartiene alle torri d’avorio degli intellettuali, alla casta dei privilegiati, alle cattedre e ai blasoni degli accademici. La poesia è madre, è padre, è amante, compagna di viaggio. Ferita che genera, sorriso che esplode. È umana, appartiene a tutti. In tutti vive e tutti salva. La poesia è sentirsi fragili, imperfetti, mancanti. È sguardo e tutto ciò che lo sguardo illumina, coglie, narra. La poesia è un canto di gratitudine.
Bia Cusumano