Quella dolcezza geniale…
La cassata si mangia a pezzi, poco alla volta, si assapora. Non si trancia, non si ingolla. È una sinfonia non una monodia, evoca giardini di vergini e paradisi di latte. La pasta reale, di mandorle e pistacchi, la frutta candita, il cuore di ricotta, il pan di Spagna, il profumo di limone. Lo zucchero si spinge fino ad un punto misterioso oltre il quale è il baratro e prima del quale è l’insapore, come sa chiunque abbia mai preparato una sana cuccìa e lavorato la pasta di mandorle. La cassata si mangia riposata, all’avvio della decomposizione, quando la crosta dura svela il miele bianco appena compatto. La cassata si sceglie fetta a fetta, il bianco e il verde, è dolce comunitario e si dissolve senza briciole. Passa per l’arcobaleno e si manifesta nei ghirigori di un sole allo zenit, il raggio verde e il bianco. S’illumina al centro del tavolo e oscura tutto quel che ruota intorno. La cassata è ipnotica, smarrisce i commensali. Non ha tempo, è moderna e antica. Chi pensa sia solo un dolce, è solo povero di spirito.
Davide Camarrone