Se la filosofia scende in campo

Cronistoria della filosofia in 90 minuti… più recupero (con Prefazione di Bruno Pizzul, Serradifalco Editore, Palermo 2022), di Salvatore Colletta Drago, non è solo la felice trovata di un docente di filosofia alle prese con l’apatia di alunni refrattari. Questo libro, in breve, non è una trappola per studenti. Pur producendo, ma per divertissement, lo stesso effetto-cattura: chi legge Cronistoria della filosofia in 90 minuti comincia incuriosito, continua sorridendo, e finisce pensando. 

Vale, per lo stile di questo libro unico – che è anche l’unico libro nel panorama della pubblicistica in materia, ché altrimenti nessun Bruno Pizzul si sarebbe mai scomodato – ciò che Peter L. Berger ci dice della comicità tipica dell’arguzia: se nella satira la comicità è usata come un’arma, nel detto arguto è trattata come un giocattolo. E in effetti, in Cronistoria, è tutto un “giocare” e, parimenti, un “mettersi in gioco”. La cosa, tuttavia, non inganni: rappresentando il gioco del pensiero dentro il gioco del calcio tramite il gioco di uno stile ironico e divertente, Colletta Drago vorrebbe infatti non solo intrattenere il lettore, ma anche dirgli qualcosa di estremamente serio. Forse persino di tragico. 

C’erano qui due possibilità: o usare la filosofia per parlare di calcio o usare il calcio per parlare di filosofia. In Cronistoria della filosofia Salvatore Colletta Drago fa a tal punto entrambe le cose, che l’ardito accostamento, complice la brillante penna dell’autore, pare decisamente riuscito. 

Vien da pensare, mentre si legge, che se l’effetto è così piacevole e coinvolgente, fra i due ambiti incautamente sovrapposti dev’esserci meno distanza di quanta non sembri. Come qualunque partita di calcio, in effetti, anche la filosofia non ammette compromessi: o appassiona, o lascia indifferenti. Tertium non datur. Anche il gioco della filosofia, come quello del calcio, è fine a se stesso. Come a calcio si gioca innanzitutto per giocare – e, se poi si vince, tanto meglio – così in filosofia ci si interroga sui massimi sistemi perché è bello farlo – e, pure qui, se poi giunge inaspettata qualche risposta, ben venga. 

C’è, tanto nel calcio quanto nella filosofia, un misto di leggerezza e di serietà. Basti osservare calciatori e filosofi impegnati nel rispettivo gioco: appaiono a tal punto seri, da produrre effetti di ridicola “seriosità”. Un filosofo che guardasse con distacco un calciatore tutto intento a giocarsi la propria partita, quasi si trattasse di vita o di morte, avvertirebbe la stessa tentazione che prenderebbe un calciatore che osservasse un filosofo: farne la parodia, ridendosela per tanta seriosità. 

E in effetti non c’è nessuno che sia tanto ridicolo quanto chi si prende troppo sul serio. Serietà vuole che ci si metta a distanza dalla propria tendenza a darsi più importanza di quella che si ha. Ma “mettersi a distanza”, magari sugli spalti di uno stadio di calcio, è esattamente il gesto richiesto dall’ironia. E questo vale non solo per se stessi, ma anche per la vita tutta. Il mondo è cosa seria o ridicola? Forse non è mai così tanto seria come quando ci si presenta nel suo tratto ridicolo. È per questo che Cronistoria della filosofia diventa portavoce della servetta tracia che rise di Talete, incaricandosi di sfottere i filosofi nell’atto stesso in cui ce ne restituisce la tremenda serietà. 

Ma vediamo di capire a che gioco stiamo giocando. Colletta Drago mette in scena una partita i cui giocatori sono i grandi filosofi della storia. Ed è subito uno spumeggiante caos di suggestioni stravaganti. Ma non tema, il lettore non esperto. Nelle “Notizie da bordocampo” l’autore offre utili indicazioni su come “interpretare” lo strano match, i comportamenti bizzarri di giocatori e arbitro, e il significato, talvolta ermetico, del loro ruolo. 

Come scrive Giorgio Armato nell’Introduzione, in un simile insolito scenario “parrebbe realizzarsi l’auspicio nietzscheano di un pensiero ‘all’aria aperta e in movimento’”. Si sarebbe tentati di dire che il modo in cui l’autore descrive la partita, con le sue continue interruzioni e con i suoi momenti di snervante stallo, restituisca il movimento stesso della filosofia, che non procede mai speditamente e linearmente, e il cui sviluppo non è perciò mai progressivo, ma sempre elicoidale. Anche se il gioco è continuamente interrotto, anche se la sensazione è che sia bloccato, in realtà procede. C’è qui una “prolungata inoperosità” non solo rispetto ad altre scienze, ma anche rispetto agli obiettivi specifici della filosofia stessa. I filosofi giocano secondo le regole, ma spesso le trasgrediscono, e le tradiscono. Mietendo strane figuracce.                                               

Si pensi al grande Kant. Sì, proprio lui. Eccolo sbagliare un facile gol a porta vuota, perché pur di conoscere a priori a che minuto avrebbe segnato, non resiste alla tentazione di guardare l’orologio un attimo prima di tirare. Morale della favola: va a segno solo chi non si cura della precisione, perché le cose sono sempre meno ordinate di quanto non vorrebbero le categorie della nostra mente. Oppure si pensi a Socrate. Di fronte a un suo improvviso blocco, i radiocronisti si chiedono se “non gli sia andato di traverso un pensiero”. Eppure un pensiero, se è veramente un pensiero, va sempre di traverso. O Platone, che scende in campo “agganciato a un paracadute”… Non poteva essere diversamente. Il mondo da cui proviene ognuno di noi, infatti, è altrove. 

Mi fermo qui, perché sarebbe vano tentare di restituire, senza averne la penna, il capolavoro di azzeccate suggestioni che Colletta Drago si inventa nella frizzante scena dello Ionic Stadium. Mi limito a suggerire, sulla scorta di quanto già sottolineato da Armato nell’Introduzione, un altro possibile senso nietzscheano di una delle tante scelte dell’autore. In Cronistoria della filosofia i giocatori sono tutti filosofi, tranne i due portieri. In porta, infatti, troviamo non due esseri umani storicamente esistiti, ma le due massime categorie del pensiero, quelle che tracciano il perimetro del campo di gioco, oltre il quale non è dato procedere: Essere e Nulla. 

Ora, la rete è la parte vulnerabile della squadra, quella più bisognosa di protezione. Non a caso, nel linguaggio calcistico, il portiere è chiamato anche “estremo difensore”. Con Essere e Nulla ci stiamo forse difendendo da qualcosa? Non sono forse, Essere e Nulla, i due espedienti con cui, nella storia del pensiero, si è cercato di esorcizzare la paura della loro confusione, ossia il Divenire?  È facile, qui, passare dalla funzione di “protezione della rete” a quella di “rete di protezione”. 

Del resto Colletta Drago ce lo suggerisce in più di una pagina. Dal rimanere “attaccato” di Parmenide all’Essere durante tutto il corso della partita, per esempio, si evince il tratto “rassicurante” dell’ontologia, il fatto che la parola “Essere” sia, in fondo, figlia di una proiezione, un tentativo di esorcizzare l’inconcepibilità del “Nulla”. L’Essere si riduce infatti in Parmenide a una sfera e basta, perché oltre non c’è Nulla. Invochiamo l’Essere per proteggerci dal Nulla. Ma anche il Nulla per proteggerci dall’Essere, come quando, magari con Cioran o Leopardi, invochiamo il niente come alleviamento della pena d’essere. O come quando, dicendo “nulla”, vogliamo difenderci da Qualcuno, forse da un Dio la cui presenza ci appare troppo ingombrante e opprimente. Anche il nulla, insomma, può servire da “tappabuchi” delle nostre paure, esorcizzando l’angoscia tipica dell’aldilà, ossia lo spaesamento suscitatato dall’idea di un passaggio a dimensione totalmente ignota e non padroneggiabile. Il nulla può “parare” per noi tanto quanto l’essere. Come sembra dimostrare, allo Ionic Stadium, l’inversione di postazione al secondo tempo, Essere e Nulla sono intercambiabili. Anche il Nulla, infatti, è qualcosa, esattamente come l’Essere. Come potrebbe, altrimenti, proteggere la porta?

Un’ultima nota, forse polemica verso tutti i perplessi di ogni uso “sportivo” della filosofia. Come esce la filosofia da questa discesa in campo? Cosa rimane, della “vera” filosofia, al rientro negli spogliatoi? Non avrà, Colletta Drago, giocato impropriamente con le cose serie? Una possibile risposta in una suggestione sempre di Giorgio Armato, che, nell’Introduzione, commenta l’idea di rappresentare i filosofi che corrono dietro un pallone ipotizzando che “conseguenza del ‘fare filosofia’ sia magari andar dietro a qualunque cosa te la faccia dimenticare”. Niente di più esatto. La filosofia non parla di se stessa ma delle cose. È un po’ come il lievito o il sale: scompare in ciò di cui parla, facendosi dimenticare nell’atto di dare tono, gusto e sapore a ciò che senza filosofia non lo avrebbe avuto o ne avrebbe avuto meno. 

Scendendo dal cielo delle idee nel campo di gioco della vita comune e della storia, la filosofia è come un paio di occhiali, i quali, una volta inforcati, vengono subito “dimenticati” a favore di ciò che permettono di vedere. Chi vede grazie agli occhiali è ormai troppo assorbito da ciò che vede per ricordarsi di dover ringraziare gli occhiali che ha sul naso. Per questo la filosofia, mentre dà occhi, produce anche oblio e ingratitudine. E se ogni tanto ci sembra davvero stupida, è perché qualcuno sta lì a guardare gli occhiali girandoli e rigirandoli, anziché inforcarli. Cosa costui potrebbe dire di sensato su un paio di occhiali osservati con la vista sfocata di chi non li ha prima indossati? D’altra parte, come potrebbe vederli, una volta che li ha indossati? O la filosofia scompare scendendo in campo, oppure muore. E siccome scomparire vivendo in altro è meglio di morire: filosofi di tutto il mondo, scendete in campo! Indossate gli occhiali! Non state lì a guardarli, non li vedreste! 

Luciano Sesta

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