La città del giardino dei cedri: Marisa Di Simone intervista Pasquale Morana

Il bisogno di cercare le proprie origini, la propria storia è un viaggio d’amore, è la parte essenziale dell’idea che abbiamo di noi stessi. La ricerca di una storia familiare ricompone i pezzi mancanti di un’identità in cui passato presente e futuro s’integrano. Nelle pagine del romanzo “La città del giardino dei cedri” Pasquale Morana, in un’alternanza di piani temporali, ci consegna pagina dopo pagina un biglietto per viaggiare nel tempo. Frank, Benedict ed infine Lucia ci accompagneranno sullo sfondo di due conflitti mondiali.

Frank, è un tenente dell’esercito americano, figlio di un italo americano. Sbarca in Sicilia durante la seconda guerra mondiale e nell’isola cercherà le sue radici rifacendosi ai racconti del padre Benedict che ogni tanto emergono dalla sua memoria. Sono ricordi frammentati ma che lo legano a quella Sicilia in cui è vissuto il padre. L’amore filiale, lo porterà a cercare di capire Palermo e soprattutto il mistero che ha portato Benedict, reduce dalla grande guerra, a diventare negli anni 20 un migrante o forse un fuggitivo. Il cedro frutto dolce ma che lascia un certo sapore amaro sarà il simbolo di una memoria atavica che s’intreccerà con la storia personale di Frank nel richiamare le sue origini e quelle della Sicilia colonizzata dai Fenici

Lucia sarà la nostra guida in una città contraddittoria, dove dietro il deserto si nasconde una madre terra fertile, dove accanto agli aristocratici convivono gli strati più umili della popolazione, dove la legge e la giustizia sono calpestati dal sopruso del più forte e del violento. Il Governo militare alleato dei territori occupati, L’AMGOT, sarà l’occhio lungo di Frank sulla città ed il nostro osservatorio privilegiato su cui riflettere e scegliere da che parte stare.

La scrittura di un romanzo storico richiede un notevole lavoro di ricerca che si rivela anche nell’uso di un lessico specialistico nel raccontare le due guerre mondiali e nella presenza della parlata locale in cui s’identifica il pensiero di un popolo. Qual è allora la difficoltà maggiore che può incontrare uno scrittore nel dedicarsi al genere del romanzo storico? E che cosa ti affascina del periodo storico narrato nel tuo romanzo?

Le difficoltà che ho incontrato sono state riuscire a mettere insieme la storia personale di Frank con la realtà storica vissuta a Palermo durante il periodo delle due guerre. è difficile non farsi trascinare o dall’aspetto puramente storico oppure lasciarsi andare a quello narrativo trascurando quello storico. Il mio libro nasce dal concetto di memoria, la memoria che il popolo palermitano ha vissuto durante il periodo delle due guerre, per ricordare gli episodi drammatici, come quelli terribili dei bombardamenti del periodo giugno e gennaio del 1943. Ho cercato di riportare nel romanzo sia l’aspetto storico sia la storia familiare di Frank, Lucia e Benedict

Moltissime delle storie, la storia di Lucia, di Benedict mio nonno si chiamava Benedict ed è stato catturato dagli austriaci in trentino ci sono tantissimi riferimenti familiari, la storia di Rosa che è stata colpita nel rifugio antiaereo di piazza Sett’ Angeli è accaduta realmente alla nonna di mia moglie. Ho cucito una serie di avvenimenti storici secondari di persone umili ed ho costruito il romanzo ma la maggior parte delle storie non storiche sono reali.

La pace raggiunta è finta e la guerra continua sotto un’altra forma confessa il tenente Frank al colonnello Chapman a tal punto da rimpiangere la chiarezza della guerra, dove il nemico si conosce. Una dichiarazione che rivela i dubbi, lo sconforto nei confronti di una terra in cui non si sa se l’uomo che si ha di fronte è un nemico o lo è quello alle tue spalle che si considera un amico. “La guerra se non ci fosse l’aberrazione dell’uccidere o morire, sarebbe forse preferibile a questa finta pace”.

Condividi l’ affermazione di Frank?

Molto spesso si è parlato dell’aiuto da parte della mafia agli alleati nello sbarco. Le ultime ricerche però escludono questo, quindi io non considererei un rapporto diretto tra la mafia me lo sbarco degli alleati. Certamente c’è stato un vuoto di potere che è stato occupato da chi aveva presa sulla popolazione e specialmente nei piccoli paesi questo avvenne tramite quei personaggi che gestivano il potere. C’è anche il rapporto complesso tra partito fascista e mafia di cui si potrebbe discutere a lungo, basti ricordare l’esperienza del prefetto Mori, che riporto nel romanzo, insieme a tante altre che non è facile riuscire a trovare.

Il vuoto di potere creato dalla caduta del fascismo ha creato una serie condizioni che anche se non definiamo mafia si può fare riferimento ad una serie di persone che non sono propriamente mafiose ma che hanno approfittato del potere, della borsa nera del periodo del vuoto di potere e lo hanno coperto.

La mafia non poteva restarne fuori, basta vedere quello che succede con la banda Giuliano e con Portella della Ginestra. E poi bisogna considerare la preoccupazione della diffusione di un movimento di massa il comunismo che preoccupa gli americani.

Nel tuo romanzo la lingua nazionale convive con quella siciliana, quest’ultima è intrisa di un tempo ancorato al passato, dove il futuro non ha voce. Attraverso Luca, l’amico medico di Frank, emerge una visione amara per cui si sostiene che solo coloro che abbandoneranno la Sicilia, potranno risollevarsi dalle asprezze di un ambiente ostile per dare qualcosa al mondo, ma non alla terra madre, definita novella Medea. Condividi questa visione?

Io condivido questa visione. Noi non riusciamo a creare come società le condizioni per cui i nostri migliori giovani possano realmente portare il cambiamento. In qualsiasi parte del mondo la crescita demografica porta ricchezza e sviluppo, noi siamo una terra che sta perdendo tutto questo. Sono pessimista ma non posso non amare questa Palermo che per me è speciale ma non sa cogliere le opportunità che ci sono di crescita.

Non si sviluppa mai la prospettiva e si vive sull’oggi. Non si può generalizzare, ci sono delle eccezioni ma è il numero che cambia la dimensione.

Perché la città del giardino dei cedri, il cedro è quel frutto che la pappa amara, ha la polpa aspra ed un leggerissimo senso di dolcezza similmente la nostra vita da palermitani e siciliani è la capacità di capire che potremmo vivere in un paradiso terrestre ed invece accompagniamo i nostri figli in aeroporto. Questa è l’amarezza ed è quello che ho raccontato nel libro che è la mia visione.

In che misura si rispecchia nel tuo romanzo quella corrente letteraria che, da Verga a Tomasi di Lampedusa, ad Elio Vittorini a Sciascia e Pirandello, ha elevato la Sicilia a metafora universale, a riflesso di una condizione umana in tutte le sue molteplici sfumature?

Non posso reggere il confronto con questi scrittori, sarebbe una blasfemia ma la contraddittorietà della Sicilia e di Palermo è metafora del mondo.

Per non parlare della pazzia della guerra che è universale. Noi non riusciamo come genere umano a capire, a fare esperienze del passato e cadiamo sempre negli stessi errori. Questo è alienante, aberrante, è qualcosa che colpisce. Il romanzo è stata una lunghissima gestazione durata più di due anni e non c’era ancora la guerra in Ucraina ed a Gaza. Basta però riflettere un attimo per rendersi conto che il ripetersi degli avvenimenti così drammatici ti fa dubitare dell’essere umano

L’architettura narrativa del tuo romanzo si erge sulle fondamenta salde della storia, in cui passato e presente si intrecciano lungo tutta la narrazione fatta di ricordi e testimonianze.

Quella memoria, originariamente custode di verità, valori e dignità, oggi si trova relegata all’oblio, affidata alle fredde sinapsi delle macchine, in una rete virtuale dove la sovrapproduzione d’informazioni rende difficoltoso districare il filo della verità stessa. La letteratura, ed in particolare il romanzo storico, conserva ancora il potere educativo di un tempo?

Ritengo che il romanzo storico abbia un valore educativo ancora oggi. Chi legge il romanzo, oltre a vivere una storia d’amore coinvolgente, riflette sulla storia, su quegli avvenimenti che hanno coinvolto Palermo durante le due guerre. Io ho una data il 9 maggio del 1943 in cui c’è stato uno dei bombardamenti più violenti che mai una città abbia potuto sopportare. Mi è capitato di parlarne con alcuni studenti anche universitari ed ho potuto costatare che non conoscono nulla della nostra storia. Se la società è una famiglia dovrebbe avere la responsabilità di trasmettere un passato alle generazioni future per capire chi sono e dove sono.

I luoghi evocati contengono diverse suggestioni, offrono diverse interpretazioni da un lato ci rivelano gli scopi, i valori che ogni società ha costruito nel tempo e dall’altro ci presentano un album per la costruzione di una memoria pubblica dalla patina lucida ed accattivante. Palermo tessitrice di sogni e fulcro delle descrizioni di Lucia, che affascina Frank con le sue narrazioni è un’entità reale, ancorata nella materialità delle pietre e dei vicoli? O piuttosto un’esperienza estetica sospesa tra l’arte e le orme sfumate di un tempo idealizzato? E quale Palermo è la tua, nell’intimo delle tue riflessioni e delle tue emozioni?

Lucia è una guida turistica, quasi un Virgilio di memoria dantesca che porta fisicamente, mentalmente e culturalmente Frank dentro Palermo. Ma la mia Palermo non è quella idealizzata di Lucia, è una città bellissima, splendida, unica ma disperata. Non è una città catalogata e catalogabile. Firenze, Venezia sono città- museo, Palermo è una città viva pur con le sue contraddizioni e sofferenze, con il sangue che scorre per le strade, con la musica napoletana a tutto volume sotto casa.

IN CONCLUSIONE….

In un paese risiede l’essenza della condivisione, il sapere di non essere soli ma di trovare un riflesso di sé nell’animo della gente, nel sussurro delle piante, nel palpito della terra. È questa la riflessione che Anguilla, il protagonista del romanzo “La Luna e i Falò” di Cesare Pavese, pone con elegante acutezza. Per lui, il ritorno è un amaro sorso da inghiottire, poiché il tessuto dei ricordi svanisce di fronte alla crudele realtà. Ma per Frank, il pellegrinaggio alla ricerca delle proprie radici costituisce un viaggio verso una comprensione più profonda del suo essere, un viaggio per accogliere una visione più vasta della Sicilia.
Quest’isola, epifania di contraddizioni, abbraccia il bene e il male, la violenza e la giustizia, la gioia ed il dolore, tutti racchiusi nel simbolico giardino dei cedri, custode di un amaro retrogusto. Ciò suscita un interrogativo: il dolore, la sofferenza, sono forse imprescindibili compagni del cammino umano?
Forse sì, ma non devono dominare la nostra esistenza. Piuttosto, attraverso le vicende dei nostri personaggi, possono trasformarsi in un cammino verso la comprensione della vita e del bene.
Alla fine, sono gli affetti che prevalgono, poiché essi racchiudono il codice umano della fratellanza e della sorellanza, tessendo un legame indissolubile tra gli individui. Se abbiamo condiviso il dolore dei protagonisti nel giardino dei cedri, alla fine torniamo carichi di speranza, con lo sguardo rivolto verso un futuro che, seppur contraddittorio, offre sempre l’opportunità di una rinascita.

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