L’arte di comunicare

Chi ha letto qualcuno dei miei libri sa bene che io tendo a trattare nel racconto – intorno al tema dominante – una serie diversificata di sotto-temi che, se presi singolarmente, hanno la stessa importanza di quello principale, asse portante della storia. Tra di loro, tema centrale e sotto-temi, sono fortemente intrecciati e chi legge passa da uno all’altro senza quasi accorgersene. Questa scelta è in parte conseguenza del mio stile di scrittura, ma anche della mia tendenza ad interessarmi a diversi argomenti solo in apparenza distanti ma che invece hanno punti di contatto interessanti, che vale la pena esplorare.
Infine trattare temi diversi nel contesto di uno stesso racconto dipende anche dal mio desiderio di offrire al lettore – nel mio caso spesso giovanissimo – molteplici appigli grazie ai quali seguire la storia, come se dessi loro la possibilità di entrare nel racconto da porte diverse. Ognuno è libero di scegliere la propria.
Tra tutti questi temi ce ne sono alcuni che risultano essere delle vere e proprie costanti, una sorta di chiodo fisso che mi porto dietro di romanzo in romanzo. Volendo approfittare della vostra pazienza, vorrei qui fare un brevissimo elenco ragionato dei temi ricorrenti nei miei racconti e usarlo per traghettare questa breve riflessione verso le caratteristiche che a mio avviso contraddistinguono l’arte di comunicare in generale. Il primo elemento a cui tengo e che, sotto le spoglie di un personaggio, si manifesta frequentemente nei miei racconti è la curiosità.
Per fare un esempio, Isabù, la ragazzina protagonista di un racconto lungo sull’amore per la musica (Il segreto buono di Isabù), è mossa da una forte curiosità verso un luogo misterioso e, grazie a questa propulsione, avvia tutta la storia e soprattutto è motore del suo cambiamento.
Stessa sorte per Kofi e Clara, i due fratelli co-protagonisti del romanzo L’incredibile estate dei fratelli Caravini, anche loro guidati dalla loro curiosità per districare misteri familiari. E così pure succede alla lontra che compare in Mino e il libro perduto che, solleticata dalla curiosità, si spinge a compiere azioni che non fanno parte del repertorio dei suoi comportamenti abituali. Senza voler andare oltre in questo elenco, altrimenti noioso, volevo rispondere subito alla domanda che già occupa la vostra mente: “Cosa c’entra la curiosità con la capacità di comunicare?”
Vi rispondo subito. C’entra tanto, davvero tanto.
Facciamo un salto di contesto e prendiamo in esame le relazioni sentimentali, terreno interessante per capire in che modo i processi comunicativi possono fallire in mancanza di curiosità. Basta guardarsi intorno per scoprire quanto stia crescendo il numero di coppie in crisi in procinto di prendere la decisione di mettere fine alla loro relazione, sia essa di fatto o matrimoniale. Alla domanda “Ma come mai?” che sorge spontanea dinanzi a situazioni simili, la risposta più frequente è la seguente: “Non ci capivamo più” o in alternativa, di pari significato, “Non parlavamo più”.

Poco importa se questo genere di risposte sia più frequente riceverla dalla componente femminile delle coppie in crisi, perché il problema principale – generato il più delle volte da un lungo calvario fatto di rimproveri e recriminazioni reciproche – rimane sempre lo stesso: un cortocircuito nella comunicazione tra i due. E adesso arriviamo alla connessione tra curiosità e comunicazione.

Personalmente ritengo impossibile intavolare e mantenere una conversazione con un individuo che non susciti in me, sin da subito, un certo grado di curiosità. Attenzione, per ragioni di lavoro (psicologia, scrittura), sono incuriosito da qualsiasi genere di individuo, ma non posso certo negare che se il soggetto dinanzi a me esaurisce i suoi argomenti nel giro di un paio di incontri, la mia curiosità per lui migra verso territori più fertili, menti più vivaci, verso persone che sappiano mettermi in difficoltà, insegnarmi qualcosa, instillare in me dubbi e nuove riflessioni. Quindi per avviare e soprattutto sostenere, lungo un arco temporale fatto di anni, un dialogo con qualcuno, sia esso amico o partner, bisogna tenere viva la curiosità del nostro interlocutore.

A questo punto starete dicendo, “Facile a dirsi, ma come si fa?”

Anche qui la risposta è semplice: coltivandosi.
Leggi un buon libro (al mese), vai a vedere un film svedese in lingua originale sottotitolato, ascolta i podcast della rivista Internazionale, viaggia con il treno in luoghi poco frequentati, trasforma le informazioni che ascolti al telegiornale in un pensiero più costruito e personale.
Insomma le strade per coltivarsi sono note, ma attenzione: un conto è imparare a suonare uno strumento (in genere la chitarra) per fare colpo sul partner potenziale, un altro è appassionarsi allo studio di quello strumento. L’abilità tecnica in sé non è un argomento interessante di conversazione, la passione sì. Ho detto passione e non mania.

Adesso parlo agli uomini (e di loro).
Se racconti per ore alla tua compagna di quanti punti straordinari sei riuscito a segnare nella partita di Padel con gli amici, lei all’inizio ti ascolterà, magari perché è un tipo gentile, ma poi disattiverà la sua preziosa materia cerebrale e, grazie a quella meravigliosa struttura fatta di connessioni sinaptiche, preferirà fare pensieri più stimolanti, del tutto personali. Insomma si romperà le palle sia di quello che le racconti e alla lunga, forse, anche di te.
Quindi abbiamo stabilito un punto, anzi due. Per comunicare efficacemente bisogna coltivarsi, ma al contempo nutrire una sincera curiosità nei confronti del nostro interlocutore, per evitare di trasformare una conversazione in un monologo mortifero. In un rapporto di coppia di lunga durata, con figli e sesso decennale, questo non è scontato. Da entrambi i lati della coppia può non esserci proprio questa sincera curiosità per i pensieri del partner, per il suo modo di essere al mondo – come direbbero i filosofi esistenzialisti – o per il modo che il partner ha di reagire agli imprevisti della vita. Viste le pieghe che stiamo prendendo con la televisione e TikTok vari, temo che questa parte del comportamento umano così importante, ovvero la curiosità, stia per essere derubricata da istinto a eccezione.

No, no, così non va proprio bene.
E veniamo ad un altro punto centrale della questione “comunicazione”: la solidarietà.
Me ne sono occupato per anni facendolo diventare, anch’esso, un tema ricorrente nei miei romanzi. Tenendo ferma l’attenzione sui rapporti di coppia, si può dare una lettura interessante anche della solidarietà.
In una coppia legata da una relazione sentimentale, a mio avviso, non solo è opportuno tenere vivo il fuoco della curiosità reciproca, ma anche impegnarsi nel realizzare una vicinanza di natura diversa da quella fisica, ovvero una prossimità progettuale. Qui la parola chiave, come è facile notare, è la seconda, quella progettualità che, se adeguatamente coltivata, permette alla coppia di progredire, di avanzare su un percorso comune basato sulla condivisione.

Mi tengo ancora per un po’ i miei abiti da psicologo per darmi la possibilità di dire anche che la condivisione, alla fine, non è altro che un prodotto nobile di una buona comunicazione, fluida, argomentativa, serena, capace di assorbire gli urti di eventuali conflitti generati da punti di vista diversi. Ma tutto questo armamentario va accudito, nutrito e allenato, proprio come un muscolo.

Buona ginnastica.

Mauro Li Vigni

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