Una partita a scacchi con il Chillero

Uccidere, ma per quale ragione? Essere un professionista della morte, con quale intento? Nel romanzo “Il Sicario” dello scrittore Vito Lo Scrudato, tali interrogativi costituiscono i pilastri di una enigmatica ricerca, una partita a scacchi per la sopravvivenza.

Nell’atmosfera esausta e corrotta della città di Palermo, priva di innocenza e intrisa di smaliziata corruzione, si muove il Sicario. Senza un nome di battesimo, egli è conosciuto come il Killero. Quest’uomo dà vita alla violenza su mandato di un potere oscuro: il Tribunale. Questa enigmatica entità, che si autodefinisce una Chiesa dall’antica natura destinata a perdurare, gli assegna una serie di omicidi su commissione privata. Tuttavia, giungerà un momento in cui la professionalità, evidente nell’accuratezza e nella precisione con cui il killer compie i suoi delitti, sarà messa in discussione. Una profonda crisi destabilizzerà le certezze che lo hanno reso un perfetto professionista della morte, conducendolo in una pericolosa partita a scacchi per il controllo del potere.

Tra le vie di Germensheim, una cittadina tedesca affacciata sul Reno, Spira e Palermo, la narrazione sparge indizi che rivelano una commistione di generi letterari: il Giallo mediterraneo, il Thriller, il Fantasy dove il reale si confonde con il surreale. Lo spazio fisico assume connotazioni simboliche, mentre attribuire un significato alla realtà diviene un gioco, una caccia al tesoro nella quale filosofia, scienza e morale trovano difficile collocazione. Il motivo, il senso di tanta violenza, rimane un dubbio sospeso, poiché la spietata legge della storia è plasmata dai violenti e dagli ignoranti.

E la storia stessa? “Il lavoro dello storico è un inganno, una falsificazione: inventare la storia richiede più merito che trascriverla da antiche pergamene, lapidi o sepolcri”, come afferma Sciascia nel romanzo “Il Consiglio d’Egitto”, concetto ripreso dall’autore per orchestrare la mortale partita a scacchi del nostro sicario, divenuto anch’egli uno dei pezzi del gioco.

Qual è stata l’ispirazione primaria ed il processo creativo che ti ha portato a scrivere un romanzo così ricco di influenze letterarie diverse (Sciascia, Calvino, Camilleri, Kafka, Hesse..) che spaziano dal giallo mediterraneo fino al fantasy, mantenendo una raffinata ironia ed uno stile accattivante intriso di espressioni dialettali e di una lingua artificiosamente costruita?

È un romanzo tra il serio ed il giocoso. L’aspetto serio della questione è prendere atto che nella realtà storica e sociale esiste il male operato dagli uomini, nel caso specifico dall’assassino. È un’indagine sul male nella sua essenzialità, quell’espressione del male a cui Sciascia s‘interessava nella sua oggettività. Oltre l’indagine del male, un po’ storico e metafisico, c’è dietro un sottile gioco, un sottile “Babbio” che si serve dell’ironia. Nel sicario prendo in considerazione una serie di generi narrativi diventati cinematografici, letterari, televisivi e gioco consapevolmente portando il lettore dentro questi cliché narrativi, gioco con lui. Poi ne esco per affrontare un altro momento di questa avventura fatta di un’osservazione stupita ed incantata della realtà urbana e culturale.

Nel romanzo Palermo è la città chiave dell’enigma, descritta nelle sue molteplici contraddizioni che tra sapori, profumi e luci inebria i sensi. Nel Killero si sommano la sapienza, la musica ed il brulicante lavorio della Palermo del presente e del passato, un passato indefinito, che mette insieme e comprende la storia degli uomini e delle donne della città di migliaia di anni fa. Qual è il tuo rapporto con la città di Palermo?

Palermo è una metafora dell’esistenza universale, per me che vengo da un paese dell’interno Palermo è un avvenimento incommensurabile: storico, architettonico, umano, istituzionale, archeologico, culturale. Palermo è una città che può far dannare nel tentativo di capirla ma può cullare, adottare, rapire e non lasciarti più libero di andare via. È una realtà fascinosa.

Nel magico universo delle “Città Invisibili” di Calvino, il Gran Kan Kublai e il navigatore Marco Polo concepiscono l’idea che ogni città possa essere raccontata come una partita giocata a scacchi. Tuttavia, l’illusione di avere rintracciato un metodo si dissolve nel gioco stesso. Il misterioso “nulla” persiste, come un tassello mancante. In questa rivelazione si cela l’amara consapevolezza che la vita reale sembra danzare nell’assenza di senso. Il tuo romanzo in qualche modo richiama il tassello del nichilismo? Oppure la partita a scacchi è la metafora di un Killer che si è liberato da un potere occulto e può decidere in autonomia come l’Alice di Al di là dello specchio?

Il libro ha una dimensione riflessiva relativa alla definizione dell’esercizio del potere. In quella partita a scacchi con un convenuto, che è il nulla, il killer tenta di fare il punto della situazione: cos’è nell’essenza il potere e chi rappresenta il potere espresso in quella realtà storica. Il protagonista annaspa tra l’essere l’esecutore di un tribunale che emette sentenze, che lui non discute, e diventare il potere stesso. Infatti nel momento in cui il tribunale rivolge le sue intenzioni omicide contro il killer, quest’ultimo vorrebbe sostituirsi al livello decisionale di questo potere occulto, uscendo dal ruolo dell’esecutore.

L’Etna vulcano/montagna in cui si scontrano tra reale e surreale il Re Nero simbolo della forza nuova del mondo, e il sicario che lotta contro il sovvertimento dei valori tradizionali è la metafora della scalata al potere. Al vertice, l’uomo conquista la consapevolezza del proprio posto nel mondo ma il vulcano riserva un’incognita, la forza della natura che sovverte ogni potere. C’è questa dicotomia nel tuo romanzo tra il potere dell’uomo e della natura?

La trattazione ci porterebbe lontano, forse a Plinio il vecchio. La natura di sicuro non può essere ridotta a puro paesaggio. Direi che c’è questa attenzione, questo rispetto e timore per la natura. L’Etna, vulcano buono, non ci sorprende. Copre i paesini etnei annunciando con largo anticipo la sua attività, e le colate non sono velocissime e quanto a morti nel cratere ci finisce chi si sporge troppo, forse qualche studioso tedesco.

Nell’intricato percorso per la sopravvivenza, il Killero incontra due donne fascinose, possono essere ricondotte alle figure femminili delle narrazioni Noir, in cui la donna rappresenta il luogo di proiezione di tutte le più inquietanti e ataviche fantasie maschili? O sono semplicemente interpreti dello stereotipo della femme fatal di ottocentesca memoria?

È qualcosa di più. Quasi un prendersi gioco delle Bond girls che hanno accompagnato le avventure di tanti agenti 007 in un gioco perverso tra amore e morte. Nei dialoghi del Killero con le sue Bond girl, emerge in modo evidente una sottile ironia. Quest’ultima si manifesta attraverso scambi spesso arguti e penetranti, che aggiungono un ulteriore fascino alla dinamica tra i personaggi ed alla loro visione della vita. Non aggiungo altro e lascio le interpretazioni a chi leggerà il romanzo.

IN CONCLUSIONE…

Nella profonda oscurità che avvolge il Sicario/Chillero, si cela un cinismo che sfida la comprensione umana, le cui motivazioni rimangono avvolte nel mistero più fitto. Ci troviamo di fronte a quella stessa banalità del male di cui Hanna Arendt ci ha avvisato, o forse si tratta di una lotta per il potere che si estende sopra alla città, alle città e persino agli stati? Il potere per il potere stesso, al di là di ogni considerazione morale, sembra essere l’obiettivo ultimo. Nel tessuto del romanzo, si percepisce un vuoto di valori, un’assenza di bene che nessuno sembra portare con sé e una mancanza di un senso di giustizia. La partita che il Sicario è costretto a giocare non riguarda solo la vittoria a ogni costo; piuttosto, rappresenta una complessa danza interpersonale in cui incontrare l’altro è il nemico. Il male che permea la narrazione non è semplicemente una manifestazione di egoismo o avidità, ma riflette anche una mancanza fondamentale di empatia. È un’incapacità di riconoscere l’umanità negli altri, una sorta di narcisismo che distorce ogni interazione, come sostiene lo psicologo britannico Simon Baron Cohen. La professione del Chillero, di cui si narra, non può essere attribuita a un’infanzia infelice o a una vita di miseria, come vorrebbe suggerire un certo filone di sociologia. Si potrebbe invece ipotizzare che il potere invisibile del male, dell’egoismo e dell’inganno abbiano preso il controllo della città, dove tra lo sfondo di paesaggi mozzafiato non c’è spazio per l’umano, ma solo per il terribile gioco mortale della scalata al potere. E forse, seguendo le mosse del Chillero, potremo scoprire di più su questo potere oscuro che domina silenziosamente dall’ombra.

Marisa Di Simone

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