A cosa serve la nostalgia?

Come accade con molte parole di antica fortuna, che hanno attraversato indenni e in modo trasversale millenni di storia e innumerevoli culture, anche la parola nostalgia ha conquistato il cuore di tanti uomini, molti dei quali indifferenti alle seduzioni effimere del mondo o, a volte, traditi da esse e folgorati sulla via della memoria.
Nóstos e álgos, musicali e suggestivi termini greci sul dolore provocato dal desiderio del ritorno, fanno oggi parte del patrimonio immateriale umano, quello che non può essere in alcun modo acquistato, venduto o barattato.
In modo analogo a quanto sperimentiamo con molte emozioni, la nostalgia non può essere nemmeno interamente compresa ma esclusivamente percepita come la struggente malinconia di ciò che soltanto nel tempo dell’assenza rivela tutto il proprio profondo legame con la nostra storia personale, i nostri affetti, le nostre origini.
Al pari degli alberi, certamente nostri fratelli per la comune origine terrestre seppur differenti nella sequenza del DNA, ma in modo così evanescente che ad una vita aliena apparirebbe forse insignificante, anche noi possediamo radici, non necessariamente fisiche, che ci legano indissolubilmente alla terra che ci ha nutriti, al suolo dove abbiamo poggiato per la prima volta il piede e al di sotto del quale abbiamo seppellito i nostri cari, anche quando, per avventura o per necessità, ci siamo da essa allontanati, talvolta per sempre.
E come accade con una pianta che travasiamo in modo inappropriato e a volte cruento, anche un essere umano che soggiace alla necessità di uno sradicamento subisce gli effetti di sconcerto, di un disorientamento che si fa tanto più doloroso quanto più le aspettative di ricostruzione della propria esistenza che si erano vagheggiate subiscono l’urto di una realtà sconosciuta, si disgregano e svaniscono come brina sotto l’assalto impietoso di un sole improvvisamente divenuto ostile.
La nostra società, sazia eppure insaziabile, ha smarrito la memoria di un tempo doloroso, nel quale i nostri fratelli attraversavano gli oceani per raggiungere lidi di una possibile speranza, la cui distanza non era misurabile con la propria limitata comprensione del mondo e sulle cui sponde giungevano quasi sempre smarriti e impauriti dalla stessa disperazione che li aveva sospinti.
Abbiamo abbandonato al silenzio la memoria dei nostri migranti e i giovani discendenti che tornano alla casa dei padri vengono oggi accolti con curiosità, con diffidenza, talora con malcelata ostilità, forse perchè rammentano una storia che preferiremmo seppellire, o perché esprimono una precarietà che ci impaurisce. Forse, infine, perché ci sembra di riconoscere sui loro volti le tracce di più recenti migrazioni, le quali vorremmo ingenuamente arrestare come il turacciolo di sughero che si crede capace di chiudere la falla nella diga.
La nostalgia, dunque, serve a mantenere quel filo evanescente che ci lega alle cose più care: un tramonto che è rimasto nella nostra memoria, un prato o una spiaggia che abbiamo calpestato da bambini a piedi nudi, un muro coperto di muschio di fronte la nostra casa, o la carezza dimenticata di una persona cara.
E’ la stessa nostalgia che soffoca il pianto di chi ancora oggi lascia la propria terra per un mondo sconosciuto e incomprensibile.
La pietas ci fa umani. E se non siamo più capaci di provare nostalgia per nulla, forse dovremmo provare a comprendere la nostalgia di chi è più indifeso, più fragile, più solo.

Santi Spartà

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *