Quei riccioli composti nel caos del genio Allevi

Ogni alba è una promessa e ogni tramonto un arrivederci

Ho imparato a riconoscere i nomi dei pianisti ascoltando soltanto il tocco al pianoforte. Certo, c’è forse una dose di presuntuosa suggestione in questa mia affermazione. Associare un tocco ad una melodia, richiede davvero anche un certo grado di follia. È verosimile, in fondo, che la consuetudine con una tecnica pianistica, sia in grado di predisporre i sensi a questa o a quella memoria uditiva che si è impressa nella nostra mente. Riascolto le nuove composizioni di Giovanni Allevi e rielaboro la mia connessione con questo compositore. Rientro in uno stato di abbandono e si ricrea un nuovo legame, in modo indelebile, con il rinato Giovanni. Un ponte sensoriale mediato da una realtà vissuta e descritta in nuovi testi melodici e l’esperienza di vita devastante ma capace di ricreare un nuovo universo irripetibile.
La sofferenza apre nuovi punti di vista, fa conoscere emozioni che sono forse più autentiche e in quella sofferenza, che ha vissuto intensamente Giovanni ha cercato un nuovo orizzonte, ha cambiato il suo punto di vista e si è fermato per un attimo, quell’attimo durato due anni. Perché c’è una cosa più importante del nostro fiorire: il nostro rifiorire, dopo essere stati perduti nel lungo corridoio dei propri inverni.

“Ho lavorato su visualizzazioni positive per allentare il dolore – dice Giovanni- ho immaginato una situazione migliore del mio stato per ingannare il mio cervello, quello stesso cervello che mi causava il tremolio delle mani non permettendomi di esibirmi in pubblico. Allora ho imparato a spostare il mio asse emotivo riportando la mia attenzione alla sola cosa importante che noi tutti abbiamo: essere vivi, autentici, se stessi. Le mani non tremano più mentre suono e sono ritornato ad esibirmi.”

Giovanni così compone “Aria” il brano nato dalle visualizzazioni in accoglimento delle debolezze e delle sue fragilità.
E suonare il pianoforte diventa per lui una necessità viscerale.

“Bisogna trovare una forza quando non sai quale sarà il tuo futuro. Non voglio arrecare un dolore ai miei familiari e lotto per sopravvivere ma la mia forza è stata la cultura. Ho letto molto e uno dei libri che mi ha fatto riflettere è stato “Imperium”. Mi è rimasto impresso un paragrafo in cui si evidenziano le tre qualità che nell’antica Roma le persone incaricate a ruoli di comando dovevano avere: autorevolezza, dignità e grazia e la cosa che mi ha stupito è stato proprio questo ultimo elemento: la grazia.
La grazia nel parlare, nei movimenti, nelle azioni.
Quando ero in sofferenza ero chiamato ad assumere il comando più importante che un uomo può avere durante la propria esistenza, ovvero avere il dominio su sé stesso.
Questo non è semplicemente non cedere alla collera o ad altro, è qualcosa di più e la risposta l’ho trovata nei versi di un antico haiku del poeta giapponese Issa Kobayashi che recita “ascolta, noi camminiamo sull’inferno guardando i fiori”. Cioè nella nostra vita camminiamo sul bordo dell’inferno e dobbiamo avere la forza di mantenere lo sguardo dritto sui fiori, ovvero sui doni che la vita stessa ci offre. Se non abbiamo un dominio su noi stessi, se non cogliamo i fiori ci resta solo l’inferno.”

L’intervista continua e Giovanni racconta della sua necessità di trovare un contatto con la natura, e con il divino cercando di togliere quella cappa che ci allontana dalle forze ataviche che percorrono le nostre emozioni.
La “bellezza costa fatica” dice il musicista compositore. “Pensiamo alla fatica di uno scalatore per arrivare in cima e una volta arrivato alla vetta gode del panorama mozzafiato. Questo non riguarda solo la musica ma ogni forma d’arte ed anche la persona”.

“Beati i poveri di spirito- continua Allevi- cioè che fanno piazza pulita di ogni definizione, di ogni immagine di sé stessi, eliminando il falso sé per divenire un’anima felice di fare ciò che si fa.”

“Il mio futuro? Non si può spingere molto in avanti e quindi il mio domani è solo un presente allargato.
Ho avuto un rapporto difficile con il futuro per un sentimento di paura e sul passato ho sempre pensato ai miei errori. La malattia mi ha fatto prendere le distanze sia dal futuro che dal passato vivendo solo il presente e lo vivo intensamente.
‘Tomorrow’ è il pezzo che descrive il mio domani, in cui ogni alba è una promessa e ogni tramonto un arrivederci.

Ed è un arrivederci la sua musica, il suo tocco al pianoforte è mutato, ha acquisito maturità, è stato rimodulato dall’esperienza di una sofferenza così profonda da rendere più lieve il cammino della vita, un percorso che non si chiude ma si apre allmondo per donarci tanti altri Allevi.

Grazie Giovanni

Intervista tratta dall’evento organizzato dalla Fondazione Federico II e svolto a Palazzo Reale a Palermo.

Rosa Di Stefano

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