Tutto arde di bellezza

Un incontro con Anna Segre

Di Anna Segre ho un ricordo vivido che resterà tatuato nei miei occhi colmi di incanto. La prima volta che la vidi fu davanti i terminali d’arrivo dell’aeroporto di Palermo Falcone e Borsellino. Era lì, una piccola e minuta donnina, con i capelli brizzolati arruffati e legati dietro la nuca. Gli occhiali tondi sul volto scarno dietro cui brillavano due occhi piccoli e taglienti come il suo sguardo sul mondo. Aveva un sorriso generoso, un tocco gentile e delicato. Le sue parole erano forti e appassionate. Anna era un coltello di luce. Tagliava da parte a parte. Non vi erano possibilità di menzogna o infingimenti. Era vera tanto da sapere metterti a nudo senza possibilità di veli.  Ti catturava l’anima, non per usarla e manipolarla.  Te la rapiva con il soffio del suo dire. La conduceva sapientemente nelle profondità della sua intelligenza dirompente, della sua ironia viscerale, della sua cultura profonda e inarrestabile. Perfino il suo silenzio grondava di parole. Le parole erano sue fedeli creature e le giravano attorno. Ne potevi vedere l’aurea, l’energia vitale. Sostavano sul suo capo reclinato tra colpi insistenti di tosse e fazzoletti di carta che venivano fuori da ogni dove. Dalla camicetta bianca che indossava, dalle tasche dei jeans, dallo zainetto verde sulle spalle. Nessun vezzo di perfezionismo. Appariva quasi goffa e buffa tra inciampi e dolori che non nascondeva. Anna non aveva necessità di nascondere le sue fragilità, le sue manie, le sue paure, le sue meraviglie. Il suo essere era tutto lì, davanti l’interlocutore, come se fosse steso su un lenzuolo bianco sotto il sole a picco. Non aveva bisogno di apparire una grande professionista, una psicoterapeuta affermata, una immensa poetessa. Lei lo era. Non per saccenteria, per arroganza, non per ostentazione. Lei lo era perché vi era giunta con il corpo e l’anima feriti dal magma incandescente della vita, tra lividi e bruciature. Tra rabbie antiche e nuove. Tra perdite e persecuzioni. Non doveva piacere, piaceva. Non doveva conquistare. Conquistava. Non doveva sedurre. Seduceva. L’avrei ascoltata per ore come se il tempo si fermasse ai suoi piedi. Ardeva di desiderio di vita. Parlava d’amore e della bellezza onnipotente del sentire la differenza imponderabile dell’altro che resta un mistero, il punto di non ritorno, l’unica possibilità di perdersi per raggiungere il centro di sé, sfiorandolo, girandoci attorno senza mai possederlo. L’amore è l’unica possibilità che abbiamo per conoscerci. A chi non ama è preclusa la piena consapevolezza del sé. Parlava dell’angoscia dell’amore e del rischio tremendo che porta. Il non sentirsi mai all’altezza, lungo tutta una vita, di un sentimento così prepotente e vitale che squassa e nutre, che sospinge in avanti, dona la forza di sovvertire la rotta e fiacca le vele della propria zattera. Il centro del suo universo era tutto dentro le relazioni umane. Anna era una guerriera del desiderio e dell’amore. Una Katana. La Parola lo è. La Bellezza lo è. Un potere che possiede e strazia. 

“La bellezza è un potere, 

una fiocina con la quale pensi di tirare

e intanto ti strazi.

Attorno alla ferita, 

strato dopo strato,

come le katane,

ti sei forgiata

nella postura e 

nella dirittura dello sguardo

per colmare l’ovvio

della concupiscenza. 

Mi commuove più 

il tuo profilo affilato

che taglia d’un colpo

un corpo in due,

della magia che spandi attorno

a polline

battendo gli occhi.” 

Invitai Anna Segre, la poetessa, la donna, il medico, l’amica per un convegno presso il Polo Liceale. Lei venne, senza che ancora i nostri corpi si fossero stretti in un abbraccio di affetto e complicità silente per le molte cose affini nelle nostre vite. La nostra corrispondenza fino a quell’otto marzo del 2024 era stata solo epistolare. Ma il suo entusiasmo, la sua generosità, il suo volere toccare le vite altrui erano stati più forti di qualsiasi distanza, di qualsiasi sofferenza fisica o incastri di impegni tra la sua vita e la mia. Nulla poteva fermare il suo ardore che risuonava con il mio. Quella mattinata presso il Polo Liceale fu un dono di inaudita bellezza. Con la sua autenticità conquistò tutti. Vera, appassionata, irriverente, autentica, un kamikaze di ironia e cultura. Senza veli, senza pudore, senza maschere. Vi era un sorriso gioioso e infante stampato sul suo viso. Sembrava davvero una bimba felice e commossa per l’affetto straripante che la circondava. La guardavo con meraviglia. Mi aveva permesso di entrare nella sua vita, nel suo cuore, in parti struggenti e dolenti del suo passato. Pochi incontri ti cambiano sul serio la vita ma alcuni lo fanno in maniera incontrovertibile. Dopo Alda Merini, senza dubbio, Anna Segre ha segnato e segna profondamente il mio percorso di docente e donna innamorata delle parole. Volevo scrivere di lei da tanto tempo. Ma la bellezza ha il passo lento. Ho letto e divorato la sua ultima silloge A corpo Vivo, Marietti Editore, 2023.

E’ un viaggio potente dentro l’amore. Ho sentito subito che quel viaggio era anche il mio. E’ il viaggio di chi ama senza mezze misure, senza vie comode, senza compromessi, disposto a dare tutto, a darsi senza pretese e senza elemosine. E’ il viaggio di chi supera paure, alibi, resistenze, convenzioni, decoro. Non vi è amore autentico che non arda come fuoco.  Ma Anna non racconta l’amore. Lo testimonia con il suo stesso corpo che dona al lettore senza paracadute, senza ciambelle di salvataggio. Non si difende. Rischia. Si consegna, si affida, si offre come agnello che bela disposta al sacrificio estremo.  Disposta anche al massacro dell’amore. Pronta a precipitare dentro le vite dei lettori se questi non avessero la cura e la grazia urgente di accoglierla, custodirla, metterla al riparo. Anna sovverte e fende. Le avevo chiesto versi per potere scrivere sulla bellezza ferita, tema che mi sta molto a cuore per i mei futuri scritti. Mi ha inviato poesie come si donano pezzi di pane. Ha sentito la mia fame. Anna ha un potere straordinario. Sente i bisogni degli altri. Li sente come fossero suoi. Li asseconda, li ammansisce, li nutre, li consola, li sfama. 

“Io lo so cosa vuol dire
la tua bellezza 
vuol dire scultura 
e viene dai pensieri che fai,
modella 
le rughe d’espressione.
Certe volte mi spaventa
vederti guardarmi
mentre ti avvicini
per baciarmi
perché sono midriatica
e entri dagli occhi
come un fiume con le rapide
coi gorghi
entri con la mente
entri con l’anima
e l’acqua fa la mappa
si vedono i dislivelli
si creano cascate
e da lì vuoti 
che chissà.
Ma cos’è l’anima?
Allora chiudo gli occhi
e mi lascio in te
che lo so 
lo so 
perché sei bella
Perché il tuo dentro
è fuori.”

C’è un dentro che è fuori. Ci sono coincidenze che non risparmiano nessuno. Ci sono parole che cambiano i viaggi. Ci sono poeti che aprono mondi soltanto con il loro sguardo. Ci sono anime che sono così belle che non puoi non amarle. La bellezza ferisce. La bellezza come l’amore è un coltello ma dove fende nascono rapide, cascate, burroni carsici, squarci luminosi. La domanda che Anna ci consegna senza presunzione di risposta è: “Che ne faremo di tutta questa bellezza? Saremo disposti a farci attraversare da parte a parte? Sapremo accettare il rischio tremendo dell’amore? Sapremo schivare i proiettili per tutta una vita, nella difesa arroccata di difenderci dall’altro come fosse una costante minaccia oppure offriremo il costato come altare sul quale celebrare il pasto?”.

I poeti non hanno la presunzione di dare risposte. Sono poeti solo se pongono domande. Domande che scardinano, che rompono, che destabilizzano, che fanno inciampare e precipitare. Bisogna uscire dalla sicumera di essere padroni del proprio destino. Bisogna credere di essere innanzi tutto mezzadri delle proprie esistenze. Mezzadri di un campo affidatoci, senza sapere da chi o perché, in cui tra rovi e macerie, tra fuoco che arde e ceneri roventi, cercare senza sosta e paura non certezze ma domande che possano salvarci. E l’altro? L’altro è la grande scommessa. La grande truffa. La grande trasparenza attraverso cui guardarsi. L’altro è il fuoco in cui ardere di bellezza e capovolgere il proprio istinto predatore. L’altro è ospite eterno di ciò che ci possiede.

Bia Cusumano

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