Due donne, due madri, ed una storia unica

Due donne in una storia unica di dolore e riscatto. La storia di due lutti, di due testimonianze libere dall’odio e dalla vendetta, che hanno chiesto giustizia oltre l’intima pena di madri, in nome di una società civile.

Francesca Serio e Felicia Impastato non hanno chiuso le finestre del loro lutto, hanno spalancato le porte di casa, perché la coscienza civile entrasse e vi abitasse. 

Le loro testimonianze sono state raccolte da Mari Albanese nel libro Felicia. Conversazioni con la madre di Peppino Impastato” e da Franco Blandi, autore di “Francesca Serio, la madre” 

In occasione della seconda giornata “È SOLO UN FATTO UMANO”, nel salotto letterario del Palazzo del Poeta, Mari Albanese e Franco Blandi hanno dialogato con la giornalista Rosa Di Stefano per condividere una storia che ci appartiene, la storia di Francesca e Felicia.  

Due madri straordinarie che hanno fatto propria la riflessione di Falcone e nel loro coraggio la mafia è diventata “solo un fatto umano”, un fatto che non possiede nulla di arcano e di invincibile. E come i fatti umani non obbedisce alla legge di eternità, perché il suo principio avrà prima o poi una fine.

Mari Albanese e Franco Blandi fanno dialogare il coraggio di due madri, le avvicinano in un abbraccio di speranza e di lotta civile. Volano con i pensieri ed in un’altra dimensione immaginano un incontro tra Francesca e Felicia, perché queste donne avrebbero molto da dirsi e da confidarsi. E forse riuscirebbero a sentirsi meno sole, perché la sensazione di solitudine è appartenuta a tutte e due ed entrambe hanno cercato di esorcizzarla. Il dolore più grande di una madre è la perdita di un figlio, soprattutto quando la mano violenta dell’ingiustizia spegne la vita di un giusto, di qualcuno che combatte per gli altri. In questo dramma si può solo soccombere o agire. 

“Io credo” dice Franco Blandi “che queste due donne si sarebbero strette in un lungo abbraccio. Ed insieme avrebbero trasformato il loro dolore in una testimonianza di lotta civile da consegnare ai ragazzi. Un’eredità che obbedisce ad un principio di realtà, quello di chi crede nelle idee che generano giustizia e vita”.

Francesca riceveva le scolaresche a casa, amava parlare con loro per donare la sua esperienza di coraggio.

Un giorno uno studente di una scolaresca di Termini, racconta Franco Blandi, chiese a Francesca se avesse mai pensato di mantenere suo figlio in vita comportandosi diversamente, lei con una semplicità disarmante rispose a quel ragazzo che da madre non avrebbe mai scelto la morte del figlio, ma in quel contesto non poteva impedire a Salvatore di fare le sue scelte, perché altrimenti sarebbe stata lei ad ammazzare il figlio. 

Il coraggio è il filo che lega due donne che hanno vissuto la stessa tragedia, il coraggio di denunciare subito gli assassini, come sa Mari Albanese che seguì in quegli anni il processo di Gaetano Badalamenti. 

“Felicia si era costituita subito parte civile, un giorno in aula bunker, lei sapeva di dovere incontrare Gaetano Badalamenti in videoconferenza perché era già in un carcere di massima sicurezza e quando il Pubblico ministero le chiese di riconoscere quell’uomo che si vedeva in video, lei puntò il dito e disse senza nessuna esitazione che Badalamenti aveva ucciso suo figlio. In questo Felicia e Francesca si somigliano tanto”. 

È il coraggio di chi non ha più nulla da perdere sostiene Blandi “dopo il primo processo che condannò all’ergastolo i quattro mafiosi accusati di essere gli esecutori dell’uccisione di Salvatore Carnevale. La sentenza di appello li scagionò per insufficienza di prove e tonarono in paese. Cominciarono a provocare Francesca passeggiando davanti la sua casa con il fucile sulle spalle. Lei si faceva trovare davanti alla porta e li rincorreva con la scopa, li sfidava dicendogli di spararle. Era invincibile, perché aveva acquisito la forza della consapevolezza di non mettere a rischio più niente e nessuno, solo sé stessa”.

Nel chiedere giustizia Francesca e Felicia non si sono fermate ai responsabili di quei delitti ma hanno denunciato un sistema circolare, alimentato dal silenzio, dalla paura, dalla solitudine.  Felicia e Francesca hanno continuato ad essere Salvatore e Peppino, hanno compreso come abitare le loro nuove vite rinascendo dal dolore. Hanno imparato a rompere il silenzio anche solo con la presenza fisica dell’esserci.

Marisa Di Simone

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *