Un editoriale diverso dal solito…
Un editoriale diverso dal solito.
Una storia di una donna ancora sveglia a mezzanotte.
E’ solo mezzanotte
Lentamente, come se volesse contare a ritroso quei gradini cha la separavano dal soppalco e assaporando quel conto alla rovescia che ad ogni passo pareva alleviare la fatica, Elena salí lungo la scala di legno che l’avrebbe condotta alla sua cameretta.
Al terz’ultimo gradino, un impercettibile cigolio le annunciò la prossima fine di quell’ultimo sforzo.
Aprí la porta e senza nemmeno accendere le luci lasciò che le lenzuola fresche accogliessero amorevoli il suo corpo stanco, come fossero le braccia di una madre che ritrova il figliolo, dopo aver lungamente prolungato la veglia nell’attesa del suo rientro nel cuore della notte.
Mise un cuscino sotto le caviglie, sperando che il gonfiore che la tormentava si attenuasse, mentre sentiva in lontananza il ringhio minaccioso dei crampi che insieme ad una fastidiosa cefalea annunciavano la prossima, puntuale emorragia.
Percepí che le membra, lentamente, si lasciavano sedurre dalla cedevole plasticità del giaciglio e per un istante dimenticò la fatica, le umiliazioni, i tormenti che la vita le aveva riservato.
Sapeva che ad ogni istante la sua tenacia poteva frantumarsi come una minuscola barca in lotta contro l’impeto della burrasca, impegnata a scagliarla sulla scogliera. Aveva risposto sempre con il silenzio agli oltraggi quotidiani che lui continuava ad infliggerle senza misericordia, alle offese gratuite davanti alle persone che amava e ai suoi stessi figli, verso i quali ostentava un incessante disprezzo e che Elena proteggeva a rischio della propria incolumità, come fa una tigre con i propri cuccioli. Ma il suo era un silenzio eloquente soltanto per chi ne avesse compreso la sofferenza che nascondeva, mentre lui non era certo in grado di interpretarlo se non come segno di sottomissione, del quale ottusamente si compiaceva.
Per quanto tempo ancora sarebbe stata capace di sopportare le miserie quotidiane, le mortificazioni gratuite, gli insulti volgari, le violazioni umilianti di quell’uomo che aveva ben presto mostrato la propria natura rozza e violenta, accuratamente mascherata dalla patina di perbenismo che gli aveva aperto il mondo ipocrita di una borghesia tanto danarosa quanto insulsa e marcia, e della quale lei non sopportava più da tempo il conformismo di maniera e la nauseante ipocrisia.
Fissò il tetto spiovente che correva obliquo verso di lei e la minuscola finestra che nelle notti stellate si apriva verso mondi lontani e inaccessibili. Da quella finestra, forse, un giorno si sarebbe affacciato il suo angelo custode e l’avrebbe portata in volo, verso l’inesistente isola dei sogni.
Sentí che la stanchezza stava vincendo le ultime forze, dedicate in massima parte ad una vita che non le apparteneva più da tempo, mentre gli spazi che osava ritagliarsi per rendere più sopportabile quel procedere così vano le venivano rinfacciati come superflui e ridicoli.
Le membra cedevano e lasciò che un silenzio prezioso la avvolgesse, mentre la luce della luna accarezzava le sue chiome sparse sul cuscino.
L’urlo la raggiunse come un maglio, tranciando di netto la breve pausa che lo sfinimento le aveva concesso. Un urlo primitivo, belluino, simile a quello di molte fiere che intendono atterrire l’avversario, facendolo desistere dall’intraprendere una lotta che appare impari già nel furore sonoro. C’era, in quella espressione di orrore vocale, il segno tangibile di un profondo disprezzo per il destinatario di tanta violenza, degno soltanto di uno spregio assoluto, espresso con frasi spezzate, frecciate velenose rivolte a quell’illecita debolezza, a quel tempo illegittimamente sottratto al proprio dovere di sguattera.
Quel vociare sgradevole non si limitava a scuotere il suo corpo dall’effimera tregua, ma si proponeva di attraversare la sua anima per annichilire, trafiggendola, ogni volontà di ribellione.
Elena si alzò, vincendo il dolore alle gambe e la pulsazione alle tempie e con fatica si sedette sul ciglio del letto, preparandosi a raggiungere la cucina.
Egli accostò la porta e se la sua voce aveva ripreso parvenze di tono umano, il suo sguardo era viscido come quello di una serpe che ha puntato la preda.
“E’ mezzanotte e non ho più fame” disse, iniziando a sbottonare la camicia.
Elena si sentì mancare, ma non ebbe il coraggio di rifiutarsi.
Non vide, oltre la piccola finestra sul tetto, l’esigua traccia di luce lasciata dal volo di un angelo custode che nella notte stellata faceva solitario ritorno alla sua isola.
Rosa Di Stefano