A cosa servono le conchiglie?

A me sembra di essere stato soltanto come un fanciullo intento a giocare sulla riva del mare, che si è divertito a trovare ogni tanto un sassolino un pó più levigato o una conchiglia un pó più bella del solito, mentre l’immenso oceano della verità mi si stendeva inesplorato dinnanzi” (Isaac Newton, 1642, 1726)

È stato un imprevisto, un inciampo su una lontana spiaggia che mi ha cambiata per sempre.

Ho raggiunto questo pianeta giungendo dalla Terra appena due anni fa, dopo un viaggio di quasi un secolo terrestre. Grazie all’ibernazione messa in atto prima della partenza ed alla propulsione ionica progressiva, questo tempo non ha pesato che per un paio di settimane sul mio delicato organismo.

È un bel pianeta, di un buon quarto più piccolo della Terra e più antico, al quale per sua fortuna è stata risparmiata la generazione di una specie invasiva e opportunista come quella umana. Possiede il vantaggio di non avere concentrazioni di minerali nel sottosuolo tali da rendere appetibile lo sfruttamento di risorse minerarie e questa circostanza lo ha salvato dalla speculazione, lasciando che rimanesse a disposizione degli Istituti di Ricerca come quello che ha finanziato la spedizione di cui faccio parte. È ricco di vegetali e di acque, che a parere dei colleghi geologi si sono stabilizzate da milioni di anni, senza grandi sconvolgimenti né catastrofi ambientali. Le specie animali, esseri volanti in primo luogo, dominano indisturbate un eden intatto. 

Un posto noioso per gran parte degli umani, interessante soltanto per qualche appassionato ricercatore. E per me.

Sono venuta qui con il compito di comprendere come abbia fatto l’evoluzione, la regola più mutevole e duttile del cosmo, a trovare un punto di equilibrio stabile che non ha subito scosse né tentennamenti da tempi immemorabili, a giudicare dagli abbondanti fossili distribuiti in modo pressoché ubiquitario sul pianeta; e che sembra costituire davvero qualcosa di prezioso nel minuscolo cortile di universo che è dato conoscere agli umani.

Al mattino, sulla spiaggia, sono inciampata su una conchiglia. 

Qui le conchiglie sembrano nate dalla fantasia di un disegnatore visionario. Possiedono le forme più incredibili e disparate e sono accomunate alle lontane cugine terrestri soltanto dalla complessità delle simmetrie che non si limitano all’evidenza delle superfici esterne ma attraversano in profondità l’intera impalcatura calcarea, generando spirali logaritmiche a più dimensioni, piramidi impossibili, solidi illusori in apparente contrasto con la geometria, turbini infiniti di volute concave riflesse su apparenze convesse, in un tripudio di labirinti vertiginosi e inespugnabili come nelle incisioni di Escher. 

Non so dire cosa mi abbia spinto ad accostare l’apertura di quella conchiglia all’orecchio. Forse un’immagine raccolta da chissà quale server e conservata nei meandri della memoria – un fanciullo che compie d’istinto questo gesto infantile – ma che tuttavia non riesco a rammentare in maniera cosciente. 

Avevo letto di una leggenda secondo la quale le conchiglie conservano il rumore del mare e che per ascoltarlo basta accostarle all’orecchio. Ovviamente, c’è una spiegazione razionale di questo fenomeno. E tuttavia, essa non basta a descrivere lo stupore e l’emozione che può derivare da questo innocente esperimento.

Mentre compivo quel gesto irrazionale, ho calcolato In pochi istanti i tempi di riverbero delle vibrazioni provocate dall’aria sulla superficie esterna che proteggeva l’antico mollusco, valutato l’inviluppo delle frequenze e la risultante complessiva delle onde sonore all’interno del complesso labirinto, previsto il risultato. Mi sono compiaciuta di essere in grado di analizzare, stimare, determinare. 

Poi, semplicemente, ho riascoltato il mare, gelosamente conservato dentro la conchiglia, lasciando da parte la ragione. E ho scoperto il brivido di un’emozione ignota.

A che cosa servono dunque le conchiglie?

Di certo non ad essere soltanto oggetto di studio analitico, utile magari per realizzare, replicandone le geometrie, strutture artificiali dotate di meravigliose caratteristiche strutturali o acustiche: auditori, sale da concerto, centri culturali o artistici. Perfino sistemi di propulsione differenziale o efficaci assorbitori di energia.

C’è molto più di questo, nella loro umile perfezione. 

C’è un programma scritto nella notte dei tempi e ripetuto all’infinito, un atomo dietro l’altro, con una precisione di dettaglio che agli umani non è concessa. C’è un senso di purezza e di armonia che permea l’universo ed al quale ci si rivolge quando la ragione non è più in grado di dare risposte. C’è la sfida della trasformazione, grazie alla quale la vita è in grado di adattarsi e proseguire lì dove un ostacolo imprevisto potrebbe estinguerla.

C’è il senso di appagamento, di condivisione, di abbandono alla bellezza, al quale è sensibile un essere pensante come una androide, venuta qui per raccogliere piccoli tasselli di verità, indizi slegati di una unità che ci sfugge soltanto perché non osiamo volgere lo sguardo verso l’oceano e la linea lontana dell’orizzonte: e inciampata, per caso o per necessità, su una antica conchiglia, in un limpido mattino extraterrestre.

Santi Spartà

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