Differenza e somiglianza

Parliamo di nuovo di Bambi, che chiaramente ha avuto un impatto importante nella mia crescita, vista la frequenza con cui lo menziono. Non solo mia, però. Ricordo che, appena arrivato al mio college, a Londra, per il Master, c’era quella sera in programma Bambi (il mio college era residenziale, per cui c’erano varie attività culturali, tra cui film). La sala era strapiena, sia di studenti che di professori. Quando si avvicinò la scena della morte della mamma di Bambi, qualcuno nel buio gridò: ‘fuori i fazzoletti’, e tutti veramente li tirarono fuori, per asciugarsi le lacrime che sapevano avrebbero sparso di lì a poco. C’erano maturi professori e studenti del primo anno, ma la scena ebbe lo stesso effetto su tutti (me compreso, naturalmente): sotto le differenze di età, di responsabilità e di conoscenze, c’era qualcosa, in quella semplice emozione sperimentata per la prima volta da bambini, che ci rendeva tutti uguali. In questo caso, si trattava del terrore per la perdita della mamma, e la consapevolezza (nuova, a quell’età) che le cose succedono al di là del nostro controllo.

Questo caso specifico è un esempio di come, da un punto di vista più generale, non esistono due concetti che siano completamente diversi, né due che siano completamente uguali. Nell’esempio, professori di chiara fama e matricole al primo anno reagirono allo stesso modo. Di fronte a Bambi, siamo tutti uguali, ma il giorno dopo, nella classe, siamo tutti diversi, per ruolo, conoscenze e capacità.

E lo stesso, ovviamente, vale per le esperienze o idee che quei concetti rappresentano, ma limitandosi ai concetti l’asserzione è più chiara. Può sembrare che ci siano concetti antitetici che non hanno nulla in comune, ma è un’impressione superficiale. Per restare con il trauma di Bambi, vita e morte, che appaiono opposti, hanno in comune la necessità della sequenza: non solo l’una segue l’altra, ma l’una non può esistere senza l’altra in quella sequenza, non solo nell’universo concettuale, ma soprattutto in quello dell’esperienza, di cui i concetti sono sempre il riflesso, e le parole appaiono allora come il riflesso di un riflesso. Così come non ci può essere differenza senza somiglianza, come appunto nel ciclo della vita, così non ci può essere somiglianza senza differenza.

Prendiamo per esempio due copie dello stesso libro: quando le vediamo impilate in una libreria, notiamo solo la somiglianza, che è tutto ciò che ci interessa in quel momento: prendere il primo o il terzo della colonna per noi è lo stesso (anche se, a volte, il primo in cima può essere il più maneggiato). Ma, in pratica, i libri possono formare la colonna proprio perché ognuno ha un posto specifico e quell’unicità di posizione, che normalmente non notiamo, è essenziale per l’essere posti in colonna, mentre il contenuto, che è ciò che attira la nostra attenzione, non ha un ruolo nella struttura fisica che osserviamo.

Nell’ambito dell’AI, questo implica che qualunque tassonomia rigida di concetti, all’interno del sistema, può essere adatta in una situazione particolare, ma essere un ostacolo in un’altra. Ovviamente, se il sistema è usato solo per alcuni compiti, una particolare struttura si irrigidirà, diventando dominante e alla fine, escludente. Questo però succede anche agli esseri umani, ed è spesso la radice del pregiudizio e della sua discendenza, la paura.

In ultima analisi, secondo me, non esiste differenza o similitudine in assoluto, ma dipende da cosa notiamo, e soprattutto da cosa ci serve. Come la bellezza, anche l’uguaglianza e la differenza sono nell’occhio di chi guarda.

Roberto Garigliano

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