Intervista a Vittoria Maniscalco
La vita privata intrecciata al restauro
Sinergie vincenti, passione, studio e sacrifico, hanno permesso l’ esecuzione di restauri di alto pregio e interesse.
“Perché il mondo è un’opera d’arte a cielo aperto e può darti sempre dei suggerimenti”
Alla radice del restauro, c’è il riconoscimento del valore di un’opera che sfida il tempo e il naturale degrado che esso comporta, tentando di prolungare un messaggio del quale riconosciamo il valore – storico, artistico, culturale – che spesso sopravanza il nostro tempo e verso il quale ci riconosciamo debitori. Il restauro è un mondo estremamente delicato e complesso, anni di studio di sperimentazioni, aggiornamenti e di condivisione, di scambio con la Soprintendenza con la quale si percorre una strada fatta di riflessioni, prove e studio. Inoltre è importante sottolineare che vige una regolamentazione nazionale che abilita alla professione del Restauratore questo proprio a tutela dei beni storico artistici.
Vittoria Maniscalco, classe ’70, oggi direttrice tecnica della sezione restauro della Emmeci, ci ha rivelato l’anima di molti tesori storici, non solo a Palermo e il suo lavoro ci ha affascinato così tanto da chiederne un’intervista.
Può raccontarci un po’ della sua carriera? Come è iniziato il suo percorso nel campo del restauro?
Dopo gli studi artistici intrapresi a Palermo ho avuto l’opportunità di potermi trasferire a Roma, dove ho svolto la mia preparazione sul restauro presso la Scuola Istituto Italiano Arte Artigianato e Restauro, fondata nel 1985 dal capo Restauratore dei Musei Vaticani, Gianluigi Colalucci, da subito ho avuto l’opportunità di potere fare sia il percorso scolastico ma anche esperienze lavorative. Ho collaborato con diversi gruppi di restauro con i quali ho svolto dei lavori estremamente affascinanti ed importanti quale il recupero di palazzo Altemps, (Roma) Il portone di bronzo della Basilica di San Marco (Venezia) che è stato smontato e portato in laboratorio, il Catino bronzeo della Fontana maggiore di piazza 4 novembre a Perugia proseguendo con lavori a Villa Borghese, a Villa Panfili ai lavori di recupero della scogliera della Fontana di Trevi, e via via sempre più svolgendo sia lavori archeologici ma aprendomi al mondo meraviglioso dei cantieri monumentali, ho lavorato presso i Fori Palatini. Nel 1995 apro la mia partita IVA e divento ditta artigiana nel 1996 con altre due mie colleghe fondo il Consorzio Restaurea. Iniziamo il nostro percorso personale partecipando a delle gare e vincendo una gara a Palazzo Adriano (Palermo), questo comporta il mio ritorno a casa dopo 12 anni di percorsi lavorativi e di vita personale su Roma e dintorni.
Quali sono state le sue principali influenze o ispirazioni nel diventare restauratrice?
Il mondo della storia dell’arte, dei beni culturali, della storia del passato, mi hanno sempre affascinato moltissimo la possibilità di essere artefice della conservazione della nostra storia è stata una grande spinta.
Qual è stato il suo primo grande progetto di restauro e come si è sentita nel portarlo a termine? Il mio primo lavoro come Consorzio.
Un’emozione particolare quello appunto di Palazzo Adriano, gara vinta che mi riporta a casa e mi impone di dover eseguire in prima persona un lavoro nella sua interezza, dall’organizzazione del cantiere, alla formazione della squadra e alla esecuzione concreta dei lavori, insomma piena responsabilità!
Può descrivere il processo generale che segue quando affronta un nuovo progetto di restauro?
Ogni progetto di restauro è un mondo assolutamente a sè stante.. è fondamentale, per quanto mi riguarda, poter studiare molto bene tutta la documentazione, computo metrico e progetto, questo mi permette di potere iniziare un percorso mentale di riflessione su quello che sarà effettivamente, poi, la fase esecutiva. Essere sui luoghi, essere dentro i luoghi mi dà modo di iniziare a vedere anche ciò che alle volte ad occhio nudo non facilmente si vede. L’esperienza data dal tempo, ti permette di individuare delle criticità che, se ben individuate, ti danno modo di potere iniziare un cantiere con una linea guida abbastanza chiara.
Quali tecniche e strumenti utilizza maggiormente nel suo lavoro?
Un cantiere ha la necessità, prima di eseguire effettivamente il lavoro, di essere supportato da esami stratigrafici da prelievi che poi vengono portati in laboratori specializzati che ci aiutano nella identificazione di materiali o anche di identificazione di datazioni specifiche per darci la possibilità di intraprendere il nostro lavoro al meglio, ma anche effettuare una campagna fotografica dettagliata ci aiuta ad individuare gli ammaloramenti in maniera puntuale.
Ci sono nuove tecnologie o metodologie nel campo del restauro che trova particolarmente interessanti o utili? Gli scanner 3D consentono di digitalizzare oggetti tridimensionali con estrema precisione, creando modelli virtuali delle opere d’arte. La fotografia multispettrale permette di catturare immagini ad alta risoluzione in diverse lunghezze d’onda, rivelando dettagli invisibili ad occhio nudo. Le nanotecnologie rappresentano una delle innovazioni più promettenti nel campo del restauro. Attraverso l’uso di nanoparticelle, è possibile creare nuovi materiali e trattamenti che agiscono a livello molecolare, migliorando la resistenza delle opere d’arte all’invecchiamento e agli agenti atmosferici
Qual è stato il progetto di restauro più difficile che ha affrontato e come ha superato le difficoltà? Il progetto di restauro più difficile in realtà è quello caratterizzato dalle difficoltà di comunicazione tra le altre parti, quello che intendo è che, se si riesce ad avere un’interlocuzione condivisa con il committente, con la direzione dei lavori, con la Sovrintendenza, tutto può essere risolto e affrontato con il fine comune di ottenere il migliore risultato possibile.
C’è un progetto di cui è particolarmente orgogliosa? Il mio percorso come restauratrice è abbastanza lungo e costellato da grandi soddisfazioni. Diciamo che facendo un breve calcolo matematico, sono più di trent’anni che svolgo questa professione. È impossibile scegliere, non esistono “figli e figliastri” metto la stessa energia e lo stesso incanto in ogni lavoro che intraprendo, che sia un reperto archeologico, un palazzo, una fontana, un dipinto esso mi impone un approccio pieno di cura e attenzione, ciò detto ho dedicato più di cinque anni alla realizzazione del recupero conservativo di palazzo Butera come Restauratrice responsabile dei restauri della ditta Emmeci.
Può raccontarci di più al riguardo? Il cantiere di Palazzo Butera è stato un grande spazio di sperimentazione, di ricerca, di condivisione. Direi a Palermo un cantiere pilota; uno spazio in cui si è sempre voluto fortemente mantenere “un passo indietro” nelle operazioni di restauro, condividendo con il Prof. Valsecchi e l’arch. Giovanni Cappelletti una visione di cantiere rispettosa della storia del Palazzo.
Come gestisce la pressione di restaurare opere d’arte di grande valore e importanza storica? In realtà la pressione di un nuovo cantiere è da me percepita come motivazione e spinta, supportata spesso dal privilegio di trovarmi in luoghi non a tutti accessibili.
Come bilancia l’integrità storica di un’opera d’arte con la necessità di renderla visivamente attraente e comprensibile al pubblico moderno? I beni storico artistici oggetto di restauro non possono e non devono essere attraenti a un pubblico né moderno né antico. Il recupero di un bene storico artistico ha delle precise e rigide linee guida che mirano a preservare il bene; la bellezza del recupero è nella sua esistenza.
Qual è la sua filosofia personale riguardo il restauro: preferisce conservare l’opera il più vicino possibile al suo stato originale o è aperta a interventi più invasivi? In quanto restauratrice, per me è fondamentale che l’opera mantenga la sua integrità sempre, si deve poter distinguere ciò che è l’originale dall’intervento che si esegue. Chiaramente possono esserci delle deroghe condivise sempre e comunque con la Soprintendenza. Un esempio molto facile riguarda in dipinti murali, là dove sono presenti elementi ripetitivi di decorazioni modulari venuti a mancare per un ammaloramento della superficie pittorica, queste possono essere ripristinate e riproposte perché non sarebbero il frutto di interpretazione personale ma la restituzione dell’elemento decorativo esistente.
Collabora spesso con altri restauratori o professionisti nel campo dell’arte?
Le collaborazioni sono alla base del lavoro di squadra. Organizzando e gestendo i gruppi di lavoro si istaura un’affinità e un continuo scambio di riflessioni, il nostro lavoro ci porta ad essere a braccetto con maestranze variegate e tutte apportano il proprio contributo per un’ottima esecuzione lavorativa, ho imparato tantissimo dai mastri e dai muratori, e in cantiere con i colleghi si collabora per raggiungere il risultato migliore.
Come trova queste collaborazioni?
Le collaborazioni sono il sale della vita, ti accrescono.
Qual è il ruolo del restauro nell’educazione del pubblico riguardo la storia dell’arte e la conservazione del patrimonio culturale?
Ritengo che il restauro possa essere considerato un valido strumento per fare conoscere il mondo del patrimonio culturale, i cantieri aperti al pubblico danno la possibilità di approfondire e conoscere sia la storia artistica dell’opera ma anche sensibilizzare alla salvaguardia.
Quali consigli darebbe a chi desidera intraprendere una carriera nel restauro?
Il restauro è un mondo fantastico. Ma voglio anche sottolineare che è un lavoro estremamente faticoso. Si lavora certo in luoghi meravigliosi ma sicuramente in condizioni non sempre facili, tanto caldo tanto freddo, posizioni scomodissime. Il favoloso mondo del cantiere dunque. Il lavoro del restauro è qualcosa che va scelto perché sostenuto da una forte passione.
Come vede il futuro del restauro artistico? Il restauro è un mondo in continua evoluzione, la ricerca a servizio del nostro passato della nostra identità.
Ci sono tendenze emergenti o sfide future che prevede? Bisogna essere legati al passato per correre verso il futuro. Mi piacciono le scoperte e mi piace osservare.
C’è un’opera o un artista in particolare che sogna di restaurare un giorno?
La Medusa del Caravaggio è un un’opera che ha sempre catalizzato moltissimo la mia attenzione. Mi piacerebbe pensare che un giorno, chissà.
Come riesce a mantenere un equilibrio tra vita professionale e personale, data la natura dettagliata e talvolta stressante del lavoro di restauro?Il mondo del restauro è un mondo di cantiere, quindi immaginiamoci l’inizio della giornata lavorativa alle 7.00, dovendo occuparmi di più cantieri in contemporanea, spesso mi trovo a girare abbondantemente, a questo si affianca tutta la parte progettuale del lavoro, computi metrici, condivisione con la Soprintendenza e non per ultima la funzione di “collante “alle squadre con le quali cerco instaurare sempre un rapporto di complicità e rispetto reciproco. Risulta faticoso? Si, ma la mia famiglia mi coadiuva, ho un compagno che mi sopporta/supporta moltissimo. Riusciamo ad essere abbastanza speculari e mio figlio quattordicenne è un ragazzo dalle molteplici e bellissime doti. Sono estremamente fortunata riesco a fondere le due parti della mia vita professionale e personale in una maniera serena.
Cosa le piace fare nel tempo libero? Ha hobby o interessi al di fuori del restauro? Mi piace molto l’intimità della mia casa, mi piace leggere, cucinare, mi piace poter invitare gli amici. Viaggiare quando mi è possibile, perché questo mi permette anche di vedere sempre cose nuove, perché il mondo è un’opera d’arte a cielo aperto e può darti sempre dei suggerimenti.