Le onde del cielo, del mare, della terra

Onde.

Che lambiscono placide le spiagge nella notte, quando i paguri timidi tornano sugli scogli deserti, o che infuriate si ingegnano a inghiottire l’audacia del vascello.

Che si susseguono come le quinte d’un teatro, pronte a mettere in scena drammi segreti, celati dietro l’angustia di opprimenti pareti domestiche.

Che si ritraggono pudiche nella risacca, come le verità che proviamo a nascondere per vergogna, per pudore o per viltà; o che si dissolvono nella nebbia, come le storie che il destino ci ha fatto attraversare e la cui memoria lentamente si attenua, prima che il buio le disperda per sempre.

Vigili, come compatte falangi di guerrieri, che si preparano all’impatto della battaglia; oppure leggere e soavi, come i pensieri per chi amiamo, fragili e lievi, che la lontananza muta nella verità illusoria dei sogni.

Onde di cielo incatenate al mare alla ricerca di una ragione che diventi una melodia d’acqua, di aria, di terra pronta a ispirare un poema o una leggenda o una passione da condividere, in un mondo dimentico della gioia dell’abbandono di due anime che si ritrovano d’un tratto senza sapere d’essersi cercate.

Forse chiediamo all’onda di sbarazzarci della razionalità coatta, delle gelide spiegazioni analitiche per lasciare spazio alla follia dell’imprevisto, al caso, all’inatteso; ignorando per una volta le spiegazioni logiche per abbandonarci alla fantasia, al sogno, alla magia e lasciando senza rimpianti gli obblighi ingombranti, le incrostazioni futili, le serate formali, le allegrie a comando in cambio d’una fuga innocente, da assaporare in una capanna sul mare o una baita nella foresta, dove godere di una semplice colazione sull’erba, circondati dal frinire di instancabili cicale, occultate nella brezza tiepida di un languido pomeriggio di primavera, mentre la risacca odorosa delle spighe ci accarezza la pelle.

Osservare le onde: questa, forse, è la vita alla quale abbiamo rinunciato.

Rosa Di Stefano

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