La TV che vuoi tu!

So bene che il titolo di questo articolo possa sembrare un gioco di parole, quasi uno scioglilingua, e possa suscitare una certa inquietudine. Sono consapevole che parlare di televisione potrebbe evocare le riviste patinate, sempre pronte a pubblicare notizie pruriginose sui personaggi televisivi più in vista. Tuttavia, questa rivista su cui scrivo, come ben sapete, non è certo di piccolo cabotaggio e quindi non è il luogo per i pettegolezzi. Inoltre, devo aggiungere che ho sviluppato un’allergia così forte alle notizie sui personaggi pubblici di nessun valore, che sono costretto a prendere un antistaminico ogni volta che mi imbatto casualmente nelle immagini dei volti di questi individui.Una volta chiesero a Franco Battiato cosa ne pensasse di Madonna, la cantante, e lui rispose che “Semplicemente, non penso di Madonna”. Già amavo smisuratamente il grande cantautore per avermi regalato giorni meravigliosi con il suo album “La voce del padrone”, che ho ascoltato sino allo sfinimento con un lettore di musicassette nel lontano 1981. Non avevo certo bisogno di una risposta simile per apprezzare il grande Franco. Nel moi piccolo, la penso esattamente come lui. Ovvero, nessun pensiero per i personaggi noti a meno che non posseggano quel substrato di qualità e virtù che ne giustifichi la notorietà. Non vi parlerò di TV per parlare di loro ma per offrirvi in tutta modestia uno sguardo su un modo nuovo e molto apprezzato di fruire dei programmi nati per il piccolo schermo. Intendiamoci, si tratta pur sempre di apprezzamenti che giungono da una ristretta cerchia di persone, attente, colte o semplicemente più informate sui modi diversi di guardare la televisione.

Ma a me non sono mai andate a genio le élite, ancorché intellettuali, e quindi sono qui per contribuire alla divulgazione di informazioni che, paradossalmente, sono già di dominio pubblico.

Tengo a precisare che non parlerò di Netflix e nemmeno di Amazon Prime, piattaforme conosciutissime capaci di offrire un bouquet di programmi on demand dai contenuti molto popolari, ma non sempre di qualità. Anche in quei contenitori però, con un po’ di pazienza, qualcosa di buono si può sempre trovare: per fare solo un esempio, su Netflix esiste una bella serie di documentari sulla Seconda guerra mondiale con immagini inedite. Una delle domande più frequenti che i ragazzi che hanno letto i miei libri mi pongono, e a cui mi piace

particolarmente rispondere, è la seguente: “Quanto hai dovuto studiare per scrivere questo libro? Da dove hai preso tutte le informazioni?”.

Rispondo dicendo che le fonti che uso sono diverse. In primo luogo c’è la lettura di altri libri, romanzi che trattano lo stesso tema o saggi specifici sull’argomento che voglio affrontare, e poi articoli e interviste a specialisti. Questa è la parte cartacea delle mie ricerche, a cui si affianca una cospicua sezione digitale, se così possiamo dire, fatta di video reperiti navigando per ore sul web. Sono documenti soprattutto non italiani, di lingua francese e inglese per lo più. Guardo e riguardo reportage di giornalisti coraggiosi che sui nostri schermi non arrivano se non sotto forma di cortometraggi presenti in festival minori, ma non per questo di scarso valore. Tutte queste fonti che uso sono volte a gratificare il mio desiderio di conoscere come vanno le cose nel mondo, soprattutto in quella parte del pianeta che non è la mia città o il mio quartiere.

Diversi anni fa ho avuto modo di vivere per alcuni mesi nella città di New York dove mia moglie è cresciuta. Quando mi ritrovavo davanti alla TV, avevo l’abitudine di guardare i telegiornali delle varie emittenti americane ed è lì che mi sono accorto che, a differenza dei nostri TG, la pagina degli esteri era praticamente assente, relegata a momenti di approfondimento, ma solo quando gli eventi erano di particolare gravità, ovvero quando potevano avere delle ricadute negative sugli Stati Uniti. In pratica, per lo statunitense medio l’universo mondo che sta al di fuori dei suoi confini non è degno di interesse, non fa notizia.

I media e la popolazione che li guarda considerano quello che succede dall’altra parte dei due oceani come qualcosa di secondario e irrilevante, a meno che non intralci la politica di predominio economico degli USA.

E a questo punto arriviamo al fulcro di questo pezzo, e cioè ad Arte.tv, fonte di molte delle mie

conoscenze sulle parti di mondo che non avrò mai il tempo di visitare e di conoscere in prima persona. Un serbatoio di film, reportage, concerti, schede tecniche, interviste a scrittori e scienziati, biografie di musicisti e così via. Per me guardare periodicamente Arte.tv è diventata più che un’abitudine una necessità, una fonte di sostentamento culturale. Spesso, purtroppo, finisco con il venir fuori da queste sessioni di visione indignato, deluso, sorpreso e spesso arrabbiato, direi furente. Tutti sentimenti accompagnati da un senso di impotenza dirompente per le ingiustizie di cui vengo a conoscenza e sulle quali a prima vista nulla posso. Ma è da questa rabbia interiore che sono solito ripartire per agire a mio modo per combattere le ingiustizie. E’ lei infatti a spingermi a prendere la penna e cominciare a scrivere, per tradurre tutto quello che conosco in racconti dove finzione e realtà dolorosa, descrizione di vita quotidiana e riflessioni si mescolano per diventare romanzo.

Ma cos’è esattamente Arte.tv?

Facciamo un salto indietro per raccontare in due frasi la sua storia.

Negli anni ottanta, prima che nascesse la moneta unica europea, tra Francia e Germania ci fu l’intenzione di creare un canale televisivo che potesse rendere fruibili a francesi e tedeschi le loro rispettive culture, per ravvicinarli e favorire così l’integrazione europea. Sono passati più di trent’anni da allora e ci ritroviamo adesso con un canale completamente gratuito con un palinsesto ricchissimo che in pochi in Italia conoscono. Si accede al canale semplicemente dal web e le smart TV di nuova generazione hanno quasi sempre l’app già installata, quindi basta un semplice clic per guardarla. In molti però non lo fanno perché pensano sia a pagamento, come tante altre piattaforme i cui loghi affollano i nostri televisori. Arte.tv è gratis perché è canale televisivo pubblico, finanziato all’o80% da Francia e Germania, e al 20% da altri canali europei. Nel suo menù si rintracciano diverse sezioni: politica e società, cinema, serie, cultura, concerti, scienze, viaggi e scoperte, storia, persino una sezione dedicata ai videogiochi. Insomma la varietà dei gusti individuali sono ampiamente gratificati.

A questo punto è facile chiarire il perché del titolo di questo articolo.

Costruire la TV che vuoi tu è ormai una possibilità concreta, nel senso che ognuno può scegliere cosa guardare e quando guardarlo, senza sottomettersi supinamente ai palinsesti decisi in piccoli uffici della Brianza o in quelli che si affacciano sul cavallo ferito della Rai. Non sembra essere un caso, ma un’immagine dal forte connotato simbolico che quel povero cavallo non si regga più sulle quattro zampe,

ma sia culo per terra, forse in attesa di essere finito con un colpo in testa proveniente dalla spartizione politica delle reti.

Ad onor del vero, bisogna dire che la RAI, nella sua versione radiofonica, si comporta in modo molto più nobile. Rai Radio Tre merita di essere ascoltato perché è un canale ricco di contenitori culturali e di approfondimento su temi di attualità politica e sociale, molto ben fatti e condotti da personaggi solidi sul piano culturale. Non si urla, ma si dialoga, si lascia spazio di esprimere il proprio punto di vista rispettando i tempi di eloquio degli intervistati. Tra i tanti programmi presenti nel palinsesto, i miei preferiti sono di certo “Fahrenheit”, “Tutta la città ne parla”, “Radio tre Mondo”, “Pagina 3” e l’imperdibile “Il concerto del mattino”. Nulla da invidiare alla BBC Radio, insomma.

Un modo per emanciparsi dal teatrino di programmi senza valore, condotti da illustri sconosciuti, c’è e non è rappresentato solo dalla presenza sul web di Arte.tv o della nobile Rai Radio Tre, ma anche da Mubi, altra grande piattaforma internazionale che contiene film di qualità in lingua originale sottotitolati in italiano, che raramente arrivano nelle sale e, quando arrivano, rimangono in programmazione solo pochi giorni.

Ancora oggi, quando menziono queste piattaforme, la gente spesso non sa di cosa parlo. Sebbene all’inizio mi senta scoraggiato, il mio umore migliora quando li vedo prendere nota dei nomi sui loro telefonini. Questo semplice gesto non mi conferma la loro effettiva volontà di esplorare quelle piattaforme, ma io, ottimista per natura, lo considero un segno certo.

Per concludere, nonostante ci sia la possibilità di costruirsi un palinsesto personalizzato, non posso fare a meno di condividere quanto disse una volta il grande Groucho Marx: “Trovo la televisione molto educativa: appena qualcuno l’accende vado in un’altra stanza a leggere un libro.”

Mauro Li Vigni

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