L’autunno, il metronomo della mia esistenza
L’autunno è la stagione degli inizi, ed è anche il tempo dei propositi. Il vento di settembre spazza via, insieme alla salsedine, anche i rimorsi per le occasioni perdute. In questo tumultuoso 2024 ogni piccolo segnale di cambiamento sembra essere foriero di novità imperscrutabili. Tra timori e tremori, ciascuno di noi tende a rifugiarsi in quelle pratiche intime di riflessione
e di sospensione del giudizio.
Adesso, a poche righe dall’inizio di questo articolo, resto immobile davanti al monitor: osservo il prompt che lampeggia. È qui. Adesso si è spostato più avanti. Scrivo per ritardare l’incontro con la riflessione. Sono un procrastinatore: inclinazione professionale? Forse. So che non posso permettere a questa asticella sottile che lampeggia di impormi qualcosa ma devo fermarmi.
Ho appena azionato un vecchio metronomo girando più volte la chiave di carica e spostando il corsoio.
Quel piccolo peso, che scorre lungo il pendolo e che determina il numero di battiti al minuto, sembra non volermi accontentare. Cerco, infatti, il punto esatto che mi permetta di sincronizzare il metronomo con l’intermittenza del prompt. Sto per desistere ma all’improvviso ci riesco. Per caso, come sempre avviene. Adesso sono come immerso in un rito di evocazione. Il tictac del metronomo segue l’intermittenza del prompt. Si apre una porta invisibile, un varco nello spazio e nel tempo.
E si fa avanti non un’ombra ma una domanda: ha senso oggi scrivere? Nell’era dell’intelligenza artificiale, del tutto e subito, del vedo quando voglio, del leggo cosa voglio… c’è già tutto a portata di click, di mano… o meglio, di pollice. La carta, che realtà esotica.
Un dubbio mi assale e si insinua tra le pieghe dei tanti interrogativi: fra qualche minuto tutto quello che è stato appena digitato con cura non ti sopravviverà. Sì.
Non riuscirà a mantenere un senso nella tua vita, scivolerà via. Intanto noto con piacere che sei già arrivato qui pur potendo voltare pagina. Queste centinaia di parole appena lette, impaginate con cura ed eleganza, sono uno spreco di energia elettrica se leggi su supporto digitale, di carta se sei un “nostalgico”.
Non avvertiamo più l’incombenza di costruire una memoria collettiva, preferiamo lasciarci cullare dall’oblio.
Meno doloroso.
Eppure, fino a qualche tempo fa, eravamo altro, eravamo altri. Stimolavamo la riflessione su tematiche varie e cruciali. Noi, generazione degli Xennials, noi nati tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, siamo diversi. E non per virtù. La necessità, la storia ci ha resi una genia a parte. Abbiamo vissuti i cortili, i muretti, i bar, i pub. Abbiamo comunicato per sensibilizzare e provocare. Abbiamo condiviso idee per collocarci nello spazio e definirci nel tempo.
Non abbiamo temuto la più dura delle rivoluzioni. Siamo passati dall’analogico al digitale affidando la nostra falsa personalità a un nickname prima e a un avatar dopo. Abbiamo scritto parole e frasi interminabili. E lo abbiamo fatto perché siamo sempre rimasti in attesa di una risposta. Crescendo ci siamo sostenuti a vicenda con gli squilli solitari al telefonino. Nel frattempo ci siamo aperti al mondo virtuale, a quel world wide web che ha cominciato a soffocarci con le sue infinite possibilità.
Ci siamo immersi, forse troppo precipitosamente e in modo immaturo, in un flusso la cui velocità è divenuta insostenibile, inversamente proporzionale alla sua funzionalità. Upload e download di dati hanno ormai cifre da capogiro.
L’intelligenza artificiale sta ridefinendo il nostro mondo, lo sta plasmando. E il grande problema è che proprio per la sua velocità e pervasività non comprendiamo appieno i flussi. L’uomo non sta più concedendo tempo all’uomo. Siamo di fronte a qualcosa che in contemporanea al suo evolversi sta anche trasformano radicalmente ogni aspetto della nostra vita quotidiana, della nostra economia, arrivando a intaccare alcune fondamenta della nostra società.
Ah, se ci fosse oggi Gutenberg qui con me, seduto al mio fianco. Quante lacrime di gioia e disperazione verserei… Dall’invenzione della stampa a caratteri mobili c’è voluto più di un secolo per rivoluzionare la comunicazione e la diffusione della cultura e della conoscenza nella vecchia Europa. Oggi sono circondando da scienziati.
Tutti sanno parlare di tutto dicendo niente. Le nuove tecnologie sono emerse da un mare piatto, si sono evolute e sono diventate ubiquitarie in pochissimo tempo. Alziamo le mani. Facciamocene una ragione. Siamo oggi in rete, siamo in trappola. Siamo solo anime perse… We’re just two lost souls swimming in a fish bowl, year after year. Running over the same old ground, what have we found?
Spinto dal crepitio che immagino provenire da quel vecchio vinile dei Pink Floyd, canticchio Wish You Were Here. Sì, mi manca. Qualcosa, forse qualcuno. E penso che anche tu dovresti ascoltare questo brano in un autunno diverso. Probabilmente non avremo trovato nulla di interessante in queste parole da me scritte. Sappiamo, comunque, che dobbiamo, ancora una volta, ricominciare. E sappiamo che se lo facciamo in autunno è meglio: perché si riparte e non si ripensa.
Oggi le foglie che cadono segnano il tempo del dubbio e il nostro esistere è dettato da quel facile oscillare tra un flirt e un rifiuto.
Proprio come il pendolo del metronomo, con la stessa velocità con cui il buonsenso continua a naufragare in un oceano di contraddizioni. Le nostre. So cosa è bene per la mia generazione. Una carezza al cuore e avere con noi ciò di cui manchiamo veramente. How I wish, how I wish you were here!
Torno a quel cursore lampeggiante.
Mi indica il punto di partenza, l’ennesimo, per l’immissione del testo. Lo so, probabilmente senza prompt mi sentirei perso, solo. Ho ancora bisogno di un invito all’azione, di un segno che con la sua intermittenza mi richiami e mi chieda di produrre, di creare, di esprimermi. Dall’altra parte c’è anche un memento costante che mi mette davanti al mio passato, alla mia memoria mentre continuo a fare i conti con l’obsolescenza. Ma come in alto, così in basso. Ed è così che vedo la stagione dell’autunno: la stagione degli inizi, ed anche il tempo dei propositi. What have we found? The same old fears. Wish you were here.
Giovanni Villino