L’ecosostenibilità

Vorrei invitarvi a fare una considerazione che ci renderà di certo più consapevoli e forse un poco più responsabili. Ci pensate mai al fatto che in questa vita siamo ospiti della Terra? E vi siete mai accorti di quanto le attività dell’uomo inquinino e danneggino il pianeta che ci è stato dato in comodato d’uso gratuito, come luogo dove vivere?

Secondo la Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite (ONU), l’eco sostenibilità ambientale consiste nell’agire in modo da garantire alle generazioni future le risorse naturali disponibili per vivere uno stile di vita uguale, se non migliore, delle generazioni attuali.

Tre sono i pilastri della sostenibilità: ambientale, economica e sociale. Questi tre pilastri furono menzionati per la prima volta proprio nel Rapporto Brundtland del 1987: sostenibilità ambientale, economica e sociale sono le basi per uno sviluppo sostenibile.

Ma oggi l’uomo agisce in modo ecosostenibile?

Oppure, cieco, spinto solo dal voler raggiungere i propri risultati e i suoi personalissimi interessi dimentica di rispettare il luogo in cui vive?

Non saprei dare una risposta concreta e scevra da una visione pessimistica e critica a questi interrogativi. Ma di certo posso affermare che se si potesse ammaccare un tasto “reset” allora non esiterei un attimo a premerlo!

Troppi danni all’ambiente, in particolare all’ecosistema terrestre, marino, troppe specie nuove popolano la Terra, provocando un cambiamento, un nuovo equilibrio e sbilanciamenti naturalistici di portata mai registrata.

Ebbene non stiamo guardando un film di fantascienza dove il regista lascia libero sfogo alla sua fervida immaginazione per creare scenari apocalittici, irreali e mostruosamente spaventosi, questa è diventata una realtà, purtroppo!

Molto forte il messaggio ambientalista che il regista Xavier Gens vuole lasciare al pubblico nel suo film Under Paris, dove, durante una spedizione in un’area dell’Oceano Pacifico ricolma di plastica, la protagonista, una biologa studiosa di mari, scopre una nuova specie di squalo, capace di adattarsi velocemente all’ambiente marino, ormai notevolmente inquinato.

Non parliamo poi delle sempre più frequenti specie marine che sono minacciate dal cambiamento climatico dovuto all’alto tasso d’inquinamento, come ad esempio rane, salamandre ed altri anfibi, ma secondo il WWF tra le specie a rischio ci sono anche aquile, avvoltoi, balenottere, elefanti, fenicotteri, foca monaca, gatto selvatico e ghepardo.

Inoltre, già dall’anno scorso si è registrata un’invasione che sta mettendo a rischio l’intero sistema lagunare e le connesse attività ittiche, sto parlando della comparsa del granchio blu. Giunto via nave a causa del commercio internazionale, caricato accidentalmente sui grandi cargo che raccolgono acqua in stiva per riequilibrare il natante, e divenuto simbolo della crisi ecologica, da giugno 2023 il granchio blu ha invaso le lagune del delta del Po, creando problemi e determinando un’emergenza per i danni che produce sull’attività dei pescatori, perché questo crostaceo taglia le reti da pesca con le sue chele, si ciba degli avanotti (i piccoli dei pesci) e distrugge gli allevamenti di molluschi, ovvero cozze e vongole.

Purtroppo, tra scarsi monitoraggi del problema e l’invito al consumo umano, non si è prestata la dovuta attenzione al reale, concreto e ben più grave problema che si sta verificando: la perdita della biodiversità!

A tal proposito vorrei ricordare il famoso entomologo Edward O. Wilson che nel 1988 introdusse il termine biodiversità e che successivamente ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)  lo ha ripreso, intendendosi come una varietà di forme di vita presenti sul nostro Pianeta Terra, comprendente tutte le piante, animali, funghi e microorganismi nonché e principalmente le interazioni ecologiche che esistono tra loro. Pensate quanto sia delicato questo equilibrio che giornalmente con ogni piccola azione scorretta noi miniamo.

Non ultimo per importanza e sintomatico di un adattamento è la presenza nel mare del sud dell’Italia del vermocane, di cui si sta parlando per le sue incredibili e fastidiose punture, che sebbene non sia una specie aliena e faccia parte della fauna del Mar Mediterraneo, sta risalendo verso nord a causa di un fenomeno noto come Meridionalizzazione dei mari.

Si tratta della tendenza di alcuni organismi marini termofili (vivono e si moltiplicano a temperature elevate ovvero tra i 45°C ai 122 °C) ad affinità subtropicale, appartenenti alle coste meridionali del Mar Mediterraneo ad ampliare ed a volte proprio a spostarsi verso regioni più temperate dove in precedenza erano rari o addirittura assenti.

Qualcosa sta cambiando, anzi qualcosa è già cambiando. E questo cambiamento è ancora in atto.

Cosa possiamo fare noi uomini?

Ricordarci che bisogna rispettare maggiormente l’ambiente, riducendo tutte le emissioni e gli scarichi, attenzionando ciò che inquina sempre di più il nostro pianeta, trovando un delicato ma duraturo equilibrio tra bisogni economici, sociali e ambientali e optando per scelte più green, più ecosostenibili, per garantire alle generazioni future un luogo più sano dove poter vivere!

Infine vorrei proporvi uno spunto di riflessione, tratto da un Proverbio del popolo navajo che trovo geniale perché centra in pieno il tema, sintetizza il contenuto del mio articolo e mi piacerebbe sensibilizzasse tutti; “Non ereditiamo la Terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli”.

Alla prossima!

Federica Dolce

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