La grandezza delle piccole cose
Affascinata e sedotta.
Affamata di curiosità.
È cosi che improvvisamente, da qualche anno a questa parte, la mia anima ha iniziato ad avere bisogno, come non mai fino ad ora, di nutrimento.
Palestre, dietisti, corsi di cucina biologica e proteica, libri sulla ricerca della felicità e sulla cura dell’ansia, approfondimenti di ogni tipo ci spiegano come prenderci cura del nostro corpo e della nostra salute psico fisica, ma nessuno ci ha mai insegnato che l’anima, esattamente come mente e corpo, ha bisogno di essere alimentata.
Il Maestro Battiato diceva che nessuno ci insegna a morire, cosa che invece occorrerebbe fare fin dai primi anni di vita, per consentirci di ricordare sempre la nostra assoluta precarietà su questo mondo e forse, anche, per smorzare un po’ la terribile paura dell’ignoto che ci si pone inevitabilmente davanti.
Ma cosi come nessuno ci insegna a morire, nessuno ci spiega che se l’anima non si nutre, esattamente come si fa con il corpo, ci ammaliamo e conduciamo la nostra vita in penombra.
Cosa ci può nutrire?
Forse crediamo di nutrirci quando siamo nella nostra zona di comfort, dove tutto è facile e nulla lo è, dove la mediocrità ci fa da perfetto giaciglio su cui adagiarci. E non importa se le giornate trascorrono senza un solo momento di felicità e di appagamento o se non dedichiamo un solo istante a chiederci come stiamo, Ciò che conta è andare.
Fare, andare, agire. Ma verso dove?
Chi di noi ha consapevolezza della direzione in cui sta andando?
Le nostre vite si misurano, credo, non su quello che diciamo, ma molto più facilmente su ciò che facciamo, perché non sono le parole a definirci, ma le nostre azioni, che ci identificano e ci descrivono meglio di qualsiasi immagine falsata possiamo dare di noi stessi.
I social, in questo senso, ci offrono più che mai la possibilità di essere uno, nessuno o centomila, attraverso più volti e più parole, proiettandoci nel mondo virtuale, in cui ciò che sei si misura in ciò che fai.
Ma, esattamente, ciò che mostriamo cosa dice veramente di noi?
Cosa scegliamo di mostrare?
Mostriamo quello che le foto possono rappresentare, corpi, sorrisi, luoghi, luci, buon cibo.
Una specie di lotta mediatica a chi è più apparentemente felice, giovane, ricco di amici, denaro e opportunità. Come se la felicità si potesse misurare in post.
E cosa succede se invece di postare una foto, scriviamo qualcosa di noi e facciamo “parlare” le anime?
Pochi hanno voglia di leggere cosa abbiamo da dire, a meno che non si tratti di insulti, opinioni estremamente schierate, polemiche da sollevare o gossip da ricamare.
Allora forse le anime, poco nutrite e curate, non sono educate alla ricerca delle altre, forse abbiamo dimenticato che è dal confronto con gli altri che nascono le idee, che sono le diversità dei punti di vista che “ci spiegano” cosa pensiamo.
Perché il pensiero si costruisce ogni giorno, non è del tutto spontaneo.
Il pensiero è una cosa seria, pretende cura, dedizione, tempo, ma soprattutto confronto fra anime.
Gaber in una delle sue canzoni più belle, “C’è solo la strada”, recitava cosi:
“C’è solo la strada su cui puoi contare
La strada è l’unica salvezza
C’è solo la voglia e il bisogno di uscire
Di esporsi nella strada e nella piazza
Perché il giudizio universale
Non passa per le case
Le case dove noi ci nascondiamo
Bisogna ritornare nella strada
Nella strada per conoscere chi siamo.”
La strada è il luogo del confronto, è dove ci incontriamo con gli altri, è dove ci formiamo.
Cosa siamo se non siamo padroni di un’idea, se non siamo in grado di difenderla, se non la mettiamo in discussione e se non scendiamo in quella “strada” per condividerla con gli altri?
Niente. E ci impoveriamo ogni giorno.
Chiusi dentro le nostre case, che oggi potremmo chiamare i nostri social.
Luoghi virtuali di solitudine infinita, la patria della solitudine.
Il luogo in cui proviamo a ritrovarci con gli altri perché, evidentemente, guardarci negli occhi non ci piace più.
Dove è quell’istinto di “rapina” che ogni anima dovrebbe sentire verso le altre, o almeno verso quelle con cui si ritrovano più affinità?
Come è possibile che ci siamo dimenticati che le anime si curano con i discorsi belli, con le ampie vedute, indossando i panni dell’altro, per poi negare tutto e costruire la propria tesi?
Come può questo silenzio assoluto, di immagini vuote che non parlano, bastare a colmare e a nutrire ciò che siamo?
È un silenzio preoccupante, fatto di assenza di contenuti, di una leggerezza che è esattamente il contrario di quello di cui parlava Calvino, ovvero la capacità di planare sulle cose dall’alto.
Per farlo servono ali forti, robuste, capaci di farci volare qualche metro al di sopra delle circostanze, con una visione un po’ più alta, senza dimenticare mai che si tratta solo di un viaggio, di un passaggio e che ogni cosa va adeguatamente pesata e collocata nel posto giusto, per consentirci di non morire mentre siamo in vita, regalando con il nostro volo, a noi stessi e agli altri, un seme di noi.
Proviamo allora a guardarci di nuovo negli occhi, a fare un uso più intelligente della virtualità, impariamo a fare parlare la nostra anima, esponiamola, proviamo a lasciare un piccolo segno di noi, non formiamo le nostre opinioni su un titolo di giornale, soprattutto non formiamoci opinioni su tutto, se non approfondiamo qualcosa prima di valutarla.
Scendiamo nella strada, intesa come ognuno di noi desidera e, senza timore, regaliamo qualcosa in più di noi al mondo.
Il confronto è il terreno fertile per fare nascere le nostre idee, per costruirle, limarle, definirle e difenderle.
Provare a cambiare verso una direzione di apertura, di generosità, mettendosi in gioco, è forse una cosa piccola, nulla di sorprendente o di originale.
Ma le cose grandi si trovano sempre in quelle piccole.
E questo per me è geniale.
Marta Cusimano