La scrittura visionaria di Maria Teresa Di Lascia
Maria Teresa Di Lascia fa parte delle numerose scrittrici non siciliane che, con sicuro possesso della scrittura, affondano la penna nei sentieri della memoria, soprattutto autobiografica, per ricostruire con tenera nostalgia e amabile leggerezza un patrimonio di ricordi corrispondenti da un punto di vista socio – antropologico, al nostro sud. In una recensione del marzo 1995 Goffredo Fofi definì “Passaggio in ombra” “un ritratto della società meridionale” perché nel romanzo il Meridione, anche se non viene mai citato alcun luogo, è fortemente radicato nei pregiudizi, nelle tradizioni talmente vissute da apparire credenze religiose. Il romanzo è un caso eccezionale ed unico nel panorama letterario del Novecento in quanto nasce da un’esperienza dolorosa, la malattia in cui Maria Teresa si imbatte e che non le consentirà di ritirare il Premio Strega che le sarà conferito nel 1995. Impegnata politicamente ed attivista per il partito radicale, l’autrice si affermò negli ambienti letterari con questo unico romanzo intimo e malinconico. Protagonista è Chiara D’Auria che narra, in prima persona, la storia sua e della sua famiglia in un luogo indefinito dell’assolato meridione nel secondo Dopoguerra. Leggendo le pagine del romanzo si sente la stessa vibrazione passionale, lo stesso “incantevole egotismo” di Anna Maria Ortese o di Elsa Morante. Nel testo coesistono molteplici dicotomie e divergenze che, per incanto della scrittura, si saldano in un unicum pluridiscorsivo e coinvolgente. Già la protagonista, Chiara, è antitetica all’ombra del titolo e, da un’attenta analisi, emerge che il romanzo si snoda in due parti, l’una realistica, motore che manda avanti tutta la storia, l’altra di introspezione intellettuale e visionaria. Nella prima parte, intitolata “l’audacia”, si narra, dal punto di vista di una bambina, la storia dei rapporti con un padre che non ha ancora “regolarizzato la sua posizione” e con una giovanissima ed amatissima madre che attenderà invano, sotto lo sguardo curioso di tutto un paese (un paesino delle Puglie), l’arrivo in chiesa dello sposo e padre ma lui non arriverà perché rifiuta il matrimonio e la paternità più per connaturata irresponsabilità che per disamore, più per quell’abulia “che non permette di trasformare un proposito in una cosa vera”. Sempre lei, la bambina , racconta poi la morte della madre sopravvenuta a questa delusione atroce. Nella seconda parte del libro, intitolata “il silenzio” l’amore assoluto ed impossibile per il cugino diventa il tema ossessivo del romanzo. Anche il cugino però, nel momento decisivo, fuggirà e la lascerà sola. Questo doppio abbandono determinerà in lei una lenta malattia, una dissoluzione dell’anima e del corpo ed è da questa dissoluzione che prende l’avvio “Passaggio in ombra” e dalla voce di questa sopravvissuta che sul filo della memoria racconta la sua vita e, nell’atto di trasformare in scrittura questo penoso ricordare ci sono dei trasalimenti, dei momenti di rifiuto, dei soprassalti e i tempi si scompongono e si accavallano, il presente si manifesta già intriso di futuro, di consapevolezza presaga. Il personaggio, proiezione di Maria Teresa, ha avuto il coraggio di trasformare il suo silenzio in parola, il coraggio di scrivere il suo canto e la sua ribellione, proprio come l’autrice ha avuto la capacità di trasformare la sua verginità di fronte all’atto di narrare, in uno straordinario romanzo. Sovrapposto a questo romanzo ce n’è un altro, quello dell’ombra, che ha la forza visionaria di una Morante o di una Ortese ma una voce inconfondibile che è quella dell’autrice.
In questo secondo romanzo la scrittura, nonostante l’eccesso di immaginazione, diventa densa e lucida, di una lacerante e violenta originalità espressiva, specie laddove indaga sulla malattia e l’angoscia e sulle cause più profonde del male di vivere. Ne viene fuori un amalgama in cui “ il passato s’incarna nella fantasmagoria del sogno e attraversa la sconfinata regione della salvezza” e i cui contenuti sono espressi attraverso un linguaggio che, sebbene assomigli al linguaggio comune, è fatto di parole, pensieri e accostamenti, di sintassi e sensazioni, dove predomina quel raffinato spirito di scelta e quel delicato istinto di selezione “coi quali l’artista” a detta di Wilde “capisce per noi la vita, donandole una passeggera perfezione”. Sembra liberarsi nel romanzo, una specie di energia compressa, una vitalità di fronte all’atto di narrare che rassomiglia tanto nell’autrice ad una iniziazione ed ad una rinascita. Attraverso il messaggio che si coglie nel suo romanzo, Maria Teresa Di Lascia ci ha consegnato tout court, con soluzioni stilistiche personalizzate, delle pagine di pregnante significato, nelle cui pieghe si avverte il suo respiro e l’anima stessa di un Sud mitico, magico, bizzarro.
Mariza Rusignuolo