Letteratura ed informazione giornalistica
In questo periodo, così denso di accadimenti pubblici come di riflessioni private, ho avuto modo di meditare sulle differenze che distinguono la letteratura e la comunicazione giornalistica.
Questa insolita riflessione, così lontana dalla mia consuetudine, è forse profondamente legata alle pieghe dell’animo che mi ispirano come lettrice e come operatore di comunicazione.
Quando leggo un quotidiano scelgo un universo privato: la casa, la mia camera, il mio tempo mediato attraverso le esperienze di donna matura, integrata nella città che amo e della quale mi circondo, come un pesce nel suo mare.
Ed è singolare come la cronaca descritta da un quotidiano è spesso lontana da me, anche se gli accadimenti che vi si susseguono sono, in senso esclusivamente geometrico, prossimi alla mia vita.
Tutt’altra esistenza mi trascina quando apro la mente ed il cuore ai classici. Kafka, Balzac, Dostoevskij: essi mi invitano a superare d’un balzo, almeno per qualche tempo, la linea che separa il mio universo attuale e quello, ormai eterno, dal quale essi mi chiamano, mi lusingano, mi inquietano.
E’ il fascino misterioso della letteratura, di quella scrittura estranea alla volatilità della cronaca, alla miseria di un tempo che scorre vanamente, senza che rimanga traccia degli uomini e delle donne che lo hanno attraversato, poiché essi sembra non abbiano altro interesse che non sia rivolto ad un raccapricciante hic et nunc.
Ecco il potere del vento impetuoso della letteratura, così distante dal soffio sbadato della informazione che ci assedia: grazie ad un misterioso incantesimo una verità altrui diventa mia senza smettere di essere altra.
Abdico così al mio “io” in favore di chi parla, e ciononostante resto me stessa.
Oggi l’informazione giornalistica sta cambiando. Sta forse cercando la strada che conduca ad una forma di comunicazione più privata, più intima, che sia in grado di raccontare le altre vite, cercando di conciliare tutti i momenti inconciliabili di un’esperienza umana, parlando di angoscia, di solitudine, di depressione ma anche di gioie, di conquiste, di successi: ciò, in fondo che genera le straordinarie singolarità di ciascuno di noi.
Un dolore che trova le parole per raccontarsi smette di essere esclusione radicale, ci rende trasparenti gli uni agli altri, in ciò che abbiamo di più opaco.
E quando ci ha attraversato, quando lo abbiamo condiviso, esso diventa, nella consapevolezza del destino che lega tutti gli uomini, meno insostenibile. Perché abbiamo necessità di sapere, di constatare che le nostre esperienze sono le stesse di tutti i nostri simili.
Rosa Di Stefano