Rose di velluto rosso: la recensione

Emanuele Trevi nel libro “ Due Vite“ ricordando i suoi amici Rocco Carbone e Pia Pera, scrittori scomparsi prematuramente, ci dice  “  noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno”. “ Ne deduco che la scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti e consiglio a chiunque abbia nostalgia di qualcuno di fare lo stesso: non pensarlo ma scriverne , accorgendosi ben presto che il morto è attirato dalla scrittura, trova sempre un suo modo inaspettato per affiorare nelle parole che scriviamo di lui…..”

E Giovanna Fileccia scrive “Sei la mia più bella poesia” , nella poesia che dedica al marito nell’incipit del libro “ Rose di velluto rosso” dove poesia e prosa risultano assemblate come sintesi ispirata di  un fuoco che continua ad ardere oltre la fine perché l’amore non si spegne con la morte ma di lei si alimenta, si trasforma, ci fa compagnia nei momenti bui, ci accarezza l’anima e continua a vivere in noi ed attraverso noi. Questo fa l’autrice attraverso il suo sé, continua a far vivere, come se fosse ancora in mezzo a noi l’Amore della sua vita, la morte le ha tolto ciò che di “materiale” c’era in lui, che continua a vivere attraverso lei, nei suoi ricordi, attraverso le sue parole, i suoi pensieri in quel connubio che si istaura quando due anime s’incontrano e si fondono in un unico afflato, inscindibile sempre. Le vibrazioni che arrivano dal testo sembrano echeggiare nell’aria attraverso le parole che esprimono “l’assenza della morte” e riempiono i vuoti nella pienezza dei sentimenti che li animano, parole che mette in bocca al marito in quell’intimo dialogo che lei conosce, che sa, in quanto rappresenta l’altro sé che continua a vivere attraverso lei.  L’autrice dialoga con il marito attraverso il proprio vissuto, i loro ricordi, è ben consapevole che è lei l’artefice di quell’intimo dialogo che la porta oltre l’umana esistenza, ma ha coscienza che è proprio così che il marito parlerebbe se fosse realmente seduto in quella sedia vuota che ora le sta di fronte. Attraverso un processo interiore, psicologico, quasi catartico vengono espressi sentimenti che fanno di questo libro un canto d’amore fra prosa e poesia, sentimenti puri, oltre il tempo e lo spazio, oltre la vita e oltre la morte in quella dimensione che non sappiamo definire ma che ci fa sentire con l’altro di noi e che rappresenta il nostro intimo essere. Sensazioni, emozioni, gioie, dolori, sofferenza, tutto riporta a lui , al compagno della sua vita. Del marito sente l’assenza ma anche la presenza su di sé su quella spalla destra dove lo sente che si è  poggiato, per starle vicino e rincuorarla nei momenti di buio assoluto quanto la mancanza la soffoca e le fa mancare il respiro, in quella sintonia di pienezza e di vuoti che le accarezza l’anima. “ e allora ti parlo per sentirti vicino e le parole sono il fruscio di ali che mi porta a te per poi riportarmi a me”. Lei parla per entrambi :

“   Ci sei ricucito alla mia anima

   ora giocando saltelli insieme ai miei battiti

   ora libero corri al ritmo del mio respiro

   Ci sei intessuto alla mia essenza

gravata da ogni passo presente e futuro

Sei con me, noi due ragni danzatori

Costruttori d’amore e di dolore”….. 

E poi cos’è l’io se non un noi dimezzato,

Io e tu, tu ed io. Dove sei tu?

Dove inizio io e finisci tu?

Dove inizi tu e finisco io?

dice l’autrice, per sempre il noi che si porta con sé e la guida nell’accettazione della disperazione attraverso la catarsi della scrittura.

 Il senso di smarrimento, di impotenza che ti assale quando perdi una persona cara è tale che la disperazione ti entra nelle viscere e non sai come uscirne, l’unica consolazione è la preghiera

“ La disperazione e io ora siamo un unico corpo

………………………….

Vi chiedo una preghiera per i miei figli

Giovani querce, ora fragili giunchi

Ciò che ha permesso all’autrice di affrontare ogni singolo giorno e a non perdere la ragione , come lei stessa scrive, nella nota dell’autrice, è stata la scrittura alla quale si è affidata totalmente e che le ha permesso, gradualmente di tornare a “respirare”. Quella stessa scrittura di cui parla Emanuele Trevi nel suo libro Due vite e che accomuna entrambi gli scrittori nella rievocazione dei loro cari attraverso lo scrivere come catarsi. Nel libro l’autrice ripercorre la vita vissuta con il marito, dal primo incontro, fino alla malattia e alla morte di lui, ne ripercorre i tratti più salienti ma anche i più bizzarri e più leggeri, il sentimento profondo e l’amicizia che li univa  e il grande dolore della separazione. 

“ Una specie di viaggio

una sorte di tormento

una spina di percorso 

che trascende il presente

in un tempo privo di tempo”…

E gli appare nei sogni 

“ E torni nei sogni come flusso che scorre al 

tocco di nocche ora volte

ora conche sospese nell’accogliere pioggia” 

 nei sogni gli restituisce la luce di cui ha bisogno

Come afferma Theodor Fontane “la separazione è la nostra sorte, il ricongiungimento la nostra speranza. Per quanto amara sia la morte non può separare l’amore . Egli è uscito dalla vita ma non dalla nostra vita perché come potremmo pensare che sia morto chi è così vivo nei nostri cuori”.

E Giovanna vive con e per il suo amore, indossa il vestito che due anni prima lui le aveva regalato e va verso la vita , per vivere per lei e per lui, assieme sempre uniti, lo porta con sé, nella parte destra del suo corpo .

“ E io vivrò anche per lui, non potrei farlo morire per la seconda volta.

Non così presto

Abbiamo tante cose da fare

Scopi da trovare, vie che mi indichino vie.”

Nel leggere queste pagine si comprende quanto la morte sia profondamente ancorata all’amore, l’assenza volge in luce, perde i tratti crudi e feroci, per lasciar spazio alla tenerezza dell’amore, quell’amore che si riassume in un corpo solo per continuare assieme il percorso tracciato.

Rosa Maria Chiarello

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