Io narro, tu cresci: un’intervista allo scrittore Mauro Li Vigni sul valore delle narrazioni animate. Di Pamela Vassallo

In questa intervista faremo due chiacchiere con lo scrittore Mauro Li Vigni per parlare di narrazioni animate nelle scuole e non solo. Parlando con lui scopriremo, infatti, parecchi particolari sui suoi libri, sull’autore stesso e sui temi a lui più cari.

Per chi non lo conoscesse, Mauro Li Vigni è uno scrittore per l’infanzia e l’adolescenza, uno psicologo e il Dirigente Scolastico di una scuola bilingue di Palermo nonché il direttore editoriale, insieme alla moglie Elvira, di due case editrici, Edizioni BeMore e Kaifab Edizioni.

A proposito di narrazioni animate, ho conosciuto Li Vigni nel lontano 2011 nella scuola in cui insegnavo, in quanto era stato invitato a presentare il suo libro sull’autismo “Il canto di Ario”. Capii il suo valore culturale e umano sin dalle prime battute. Quell’incontro mi colpì particolarmente per la sua delicatezza e per il modo in cui Mauro trattò la tematica con bambini di Scuola Primaria, bambini di tutte le classi, dalla prima alla quinta, riuscendo a modulare, di volta in volta, la sua presentazione in base al target degli alunni presenti. Mi colpì anche per un’altra ragione: la sua narrazione fu accompagnata dalla proiezione delle immagini tratte dal libro, che scandivano man mano il racconto stesso, e si concluse in musica. Una modalità del tutto nuova, direi. I bambini rimasero incantati dall’inizio alla fine, tanto da ascoltarlo con grande attenzione e motivazione.

E allora ti chiedo, Mauro, da dove nasce l’idea di promuovere la lettura tra i piccoli mediante le narrazioni animate e soprattutto di promuoverla in maniera del tutto innovativa e creativa già 10 anni fa e oltre?

MLV:

Innanzitutto ti devo ringraziare per darmi l’opportunità di parlare di un aspetto del mio lavoro di scrittore che mi sta molto a cuore. Da quando ho iniziato a scrivere racconti per l’infanzia e romanzi per ragazzi, mi sono sempre posto l’obiettivo di raggiungere in modi diversi il potenziale lettore. Per me la scrittura è solo il primo tassello di un progetto più ampio che prevede un’attivazione da parte mia, qualcosa che mi permetta di far vivere i miei racconti oltre i limiti ristretti della pagina scritta. Ricordo ancora il primo incontro proprio nella scuola in cui insegnavi allora. Sono passati tanti anni ma nonostante l’età aumenti la mia passione non decresce. Negli anni l’interesse da parte delle insegnanti verso iniziative di promozione della lettura diverse, più originali, è molto cresciuto di pari passo con la crescita delle offerte di iniziative. Qualche anno fa gli inviti delle scuole erano anche per me sporadici, legati a qualche evento particolare come la Giornata della memoria il 27 gennaio. Negli ultimi due anni almeno invece, la richiesta di iniziative di stimolo alla lettura ha registrato un vero balzo in avanti grazie anche alle diverse iniziative promosse dal Ministero o dalle varie associazioni che in diverso modo sostengono il lavoro delle case editrici. A fronte di questa enorme richiesta però non sempre ci si trova di fronte a proposte davvero originali. Dal mio punto di vista presentare un nuovo libro a un pubblico giovanissimo non è una pratica possibile in senso tradizionale. Non si può pensare di raccogliere l’attenzione dei bambini parlando del contenuto del libro, dei suoi personaggi, dei temi trattati così come si fa solitamente con un pubblico adulto. Ai piccoli lettori bisogna dare molto di più, raccontare una storia entro la quale i personaggi prendono vita. Questo è il motivo per il quale io ho deciso di realizzare le narrazioni animate che prevedono di andare fino in fondo alla storia, comprendendo il finale, nulla escluso. Nonostante questo processo mi porti sino in fondo alla storia, nei bambini rimane intatta la voglia di leggere il libro, nonostante sappiano già come andranno a finire le cose. Il piacere della rilettura è presente in tutti i bambini i quali tornano volentieri sui libri amati per ritrovare quelle emozioni e magari scoprire qualcosa di diverso, di nuovo, qualcosa che non avevano notato o colto nella prima lettura. 

PV:

Quell’incontro fu foriero di tanti altri appuntamenti di narrazioni animate e per questo mi piacerebbe ripercorrere un viaggio tra i tuoi libri. Poco tempo dopo “Il canto di Ario” (Azimut Edizioni), fu la volta di “Mino e il libro perduto”. Anche in quell’occasione riuscisti a stupirci perché la tua narrazione divenne ancora più incisiva e coinvolgente. A raccontarci la storia fu proprio il protagonista, Mino, che prese parte all’incontro, suscitando la meraviglia dei partecipanti. E in che modo? Tirasti fuori dal tuo zainetto una lontra-burattino, bellissima, morbidissima, che catturò l’attenzione e la curiosità dei bambini, desiderosi di ascoltarla, accarezzarla, porgerle delle domande, ma soprattutto di seguire il suo consiglio, quello di leggere, leggere, leggere. 

Ti chiedo, come nacque l’idea di passare dalle semplici immagini all’utilizzo dei burattini e quindi di introdurre nelle tue narrazioni questa forma di teatro?

MLV:

Al principio non avevo in mente esattamente il punto in cui sono arrivato adesso. Ho cominciato semplicemente raccontando una storia che parlava di autismo ai più piccoli, senza mai usare la parola autismo. Per me è stata una sfida. Andavo in giro per le scuole con le immagini proiettate su uno schermo ad accompagnare il mio racconto. Non ho mai letto un testo e non ho mai voluto farlo sin dall’inizio, questo l’ho sempre saputo. Con il tempo mi sono accorto però che qualcosa mancava nelle mie narrazioni, le trovavo troppo statiche sia per me, ma soprattutto per chi mi ascoltava. Le immagini mi davano un supporto fondamentale per non andare fuori giri, per rimanere dentro la rotta segnata dalla sequenza cronologica degli eventi narrati, ma mi costringevano a movimenti minimi del corpo e tutto era affidato alla parola, al paraverbale. Sentivo di avere bisogno di qualcosa da manipolare, da mostrare, avevo bisogno di altri elementi concreti che potessero rendere l’esperienza tridimensionale per gli ascoltatori. Quindi, poco alla volta, ho aggiunto qualcosa alla mia narrazione, un pupazzo, un oggetto presente nella storia, una scatola che potesse contenere tutto questo e svelarlo poco alla volta, per ricreare, sotto gli occhi dei bambini, il mondo che avevo costruito nel mio racconto. Ho capito che questo era un modo molto divertente per  coinvolgere i bambini e ho deciso di approfondirne la tecnica, cercare evoluzioni, arricchire la performance pur non essendo io un uomo di teatro. E’ un percorso di crescita che ancora continua, almeno fin quando ne avrò le forze, perché è un’attività, quella della narrazione animata così come l’ho pensata io, che comporta un certo grado di sforzo fisico. 

PV:

E da allora non abbandonasti più l’arte teatrale. Ricordo, come se fosse ieri, l’incontro per la presentazione del libro “Lisa la giraffa azzurra”. Arrivasti nella sala riunioni, apristi la valigia-teatro che avevi con te e all’improvviso fu un tripudio di colori, suoni e animali della savana africana: la giraffa, la gazzella, la zebra, il leone… Gli alunni e le alunne rimasero ipnotizzati, fremevano desiderosi di ascoltare quella meravigliosa storia di coraggio e sull’importanza della conoscenza delle lingue straniere e lo facesti attraverso le marionette raffiguranti i personaggi del racconto.

Cosa ti ha spinto a continuare a utilizzare il teatro di figura nelle tue narrazioni animate? E quale valore educativo-didattico riconosci al teatro?

MLV:

A pensarci adesso posso dire che “Lisa la giraffa azzurra” è stata un punto di svolta fondamentale per me. Ho dedicato alcuni mesi a preparare tutto l’armamentario necessario che ancora oggi utilizzo, a distanza di molti anni, quando vado a raccontare Lisa. Una valigia di cartone decorata con la tecnica del decoupage che contiene tutti i personaggi di quel racconto così tanto amati dai bambini. Io stesso, quando racconto la storia, mi trasformo in un personaggio che nel racconto non esiste ma che risulta necessario quando realizzo la narrazione animata. Trovando il coraggio di travestirmi, di usare abiti di scena, se così possiamo dire, do un’identità precisa alla voce narrante che, in questo modo, diventa corpo. Indosso qualcosa di molto semplice, un gilet color cachi pieno di tasche e un cappello coloniale per entrare meglio nell’atmosfera. Dentro quella valigia tappezzata con le immagini contenute nel libro, ci sono molte più cose di quante ce ne sono nella storia. Questo surplus di personaggi e oggetti mi aiutano a prendere traiettorie nuove, imprevedibili che vanno oltre la storia. Non lo faccio sempre ovviamente, perché dipende dal pubblico che ho dinanzi, dalla loro età ma anche dalla loro disponibilità a coinvolgersi. E dipende anche dal contesto fisico in cui realizzo la narrazione, una classe è sempre meglio di un’aula magna per me o peggio, di uno spiazzo di una villetta comunale. Gli ambienti piccoli sono preferibili perché meno dispersivi, perché favoriscono la vicinanza tra me e il pubblico di bambini, mi consentono addirittura di sussurrare quando la storia lo richiede. Tornando a “Lisa”, devo confessare che non mi stanco mai di raccontarla. Ogni volta rifaccio questo viaggio nella savana con grande piacere mio e di chi mi ascolta. Con questo racconto ho sperimentato l’uso degli stick puppet che due bravissime artigiane della stoffa hanno realizzato per me. Con il tempo hanno assunto un’aria vissuta, come se avessero davvero compiuto loro stesse, quel viaggio nella savana insieme a Lisa. Sebbene non possa essere definita in senso stretto un’esperienza teatrale perché io non sono un attore, la narrazione animata che realizzo porta con sé una serie di caratteristiche mutuate direttamente dal teatro: la corporeità, la fisicità, la variazione del tono della voce, il coinvolgimento emotivo del pubblico, la presenza di oggetti di scena sono tutti elementi che se usati con accortezza, favoriscono nei bambini l’interiorizzazione di alcune tematiche importanti per la crescita personale e sociale. 

PV:

È palese che dietro a ogni tuo incontro di narrazione così come dietro a ogni tuo romanzo ci sia un vero e proprio studio, tutto è curato nel dettaglio, ogni scelta è pensata, insomma non lasci niente al caso, neanche la selezione delle musiche che rievocano le ambientazioni delle tue storie. Basti pensare, per esempio, a uno dei romanzi a cui sei particolarmente legato, “E poi venne la libertà”, che affronta il delicato tema della Shoah. Durante l’incontro con le scolaresche ritorni all’uso delle illustrazioni, ma fai anche ricorso a una serie di oggetti particolari e caratteristici, che rivestono un ruolo importante anche all’interno del libro stesso, oggetti che so hai fatto fatica anche a reperire. 

Ce ne vuoi parlare? Perché sono importanti durante il racconto?

MLV:

Quel romanzo per me è davvero importante. Ha segnato un cambio di passo notevole anche in ordine alla scrittura. Volevo scrivere della deportazione ebraica in Europa da molto tempo, decenni direi. Non l’ho mai fatto soprattutto perché volevo trovare un modo di farlo non solo originale ma soprattutto rispettoso di un’epoca storica che ha visto soffrire milioni di persone. In più sono tantissime le pubblicazioni sull’argomento destinate a un pubblico di giovanissimi lettori e spesso il confronto con alcuni importanti scrittori come Lia Levi, per fare solo un esempio, mi ha sempre frenato. Tutto sommato però tutte queste titubanze mi sono state utili, in primo luogo per la scrittura. Su quel versante avevo bisogno di raggiungere una maggiore maturità stilistica che di certo non possedevo prima. Poi mi ha fatto visita Berto, il protagonista del romanzo, un ragazzino vissuto durante la seconda guerra mondiale in un paesino del nord Italia. Mi ha posto una serie di domande, spingendomi a riflettere su un aspetto importante che ha riguardato i bambini che hanno vissuto in quel momento storico così drammatico, ovvero: come può un bambino sopravvivere all’orrore della guerra? Quale strategia mentale istintiva deve utilizzare per tollerare tutta quella sofferenza derivata in gran parte dalle privazioni emotive e materiali? Dal tentativo di rispondere a queste domande che Berto mi poneva è nato il romanzo. In genere lo racconto in occasione della giornata della memoria e ogni volta è per me un’esperienza molto emozionante. E’ forse la narrazione più teatrale di quelle che realizzo grazie all’insieme di oggetti che ho raccolto nel tempo. Io divento Berto e da quando comincio a raccontare è tutto un fluire di emozioni e parole e silenzi che mi permettono di sentire vibrare il pubblico insieme a me. Dallo zaino tiro fuori il tallit, lo scialle di preghiera della tradizione ebraica, poi una radio, piccole automobili, una bicicletta in miniatura, sino ad arrivare alla stella di David che chiude il racconto. Sono trenta minuti vissuti in apnea, trenta minuti di narrazione da cui esco provato e felice.

PV:

E poi arriva “Il cacciatore di errori”, che tratta una tematica attualissima e urgentissima: i cambiamenti climatici e la salvaguardia del nostro pianeta, prima che sia troppo tardi. Per presentare la storia di Zaky, l’extraterrestre, hai ideato un tipo di narrazione molto particolare, in quanto prevede l’utilizzo di un Kamishibai dalla forma molto attraente per ogni bambin* che sogna di andare nello spazio. 

Come è accolta questa modalità dalle scolaresche?

MLV:

I temi della salvaguardia ambientale sono il filo conduttore dei miei ultimi romanzi. Sono convinto che chi, come me, fa uso della scrittura, non possa evitare di occuparsi di scrivere racconti che affrontino questa storia collettiva, soprattutto riguardante le giovanissime generazioni. Sono proprio loro che, più di tutte, risentiranno delle conseguenze catastrofiche verso cui l’umanità sta galoppando a causa dei cambiamenti climatici, di cui l’uomo stesso è responsabile. 

Con Zaky, il protagonista di questo racconto, ho affrontato per la prima volta la tematica ambientale e devo dire che la reazione dei bambini che incontro è contraddittoria in modo interessante. Vengono coinvolti dal racconto ma rimangono anche leggermente disorientati, perché io apro delle questioni nuove per loro fornendo anche qualche suggerimento ma lungi dall’essere esaustivo rispetto alla complessità del fenomeno e dei comportamenti correttivi che è necessario mettere in atto. La mia intenzione è quella di aprire la discussione, favorire la creazione delle domande, spingere i bambini a interrogare le persone a loro più vicine per avere ulteriori chiarimenti. Il resto del lavoro spesso lo fanno le insegnanti e forse anche i genitori, almeno così mi piace pensare. In fondo le tematiche ambientali hanno una loro complessità scientifica che certamente non può essere veicolata brutalmente all’interno di un’opera di narrativa destinata alla prima infanzia. Mi guardo bene dall’inserire surrettiziamente la forma saggio all’interno di un romanzo per ragazzi, mi apparirebbe come una forma di tradimento. Ciò non toglie che occorre fondare il racconto fiction su solide base di conoscenza scientifica dei fenomeni di cui si tratterà nel libro. Per questa ragione io impiego molto più tempo a informarmi sui fenomeni sociali, scientifici, storici di cui voglio raccontare che a scrivere il romanzo. E’ un’altra delle grandi responsabilità che si hanno quando si scrive per i bambini e i ragazzi, essere informati, autentici e mai manipolatori.

PV:

Mauro, io sono veramente felice di essere testimone dell’interesse che suscitano i tuoi libri e le tue narrazioni animate, interesse che scaturisce dalle tematiche interessanti che affronti e dal linguaggio che usi nella scrittura e nella narrazione, un linguaggio accessibile a tutti, ma mai banale. Con la stessa spontaneità e semplicità con cui scrivi e racconti, inviti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze a leggere e a scrivere. E in tutti e due i casi arrivi al loro cuore, risvegliando in loro il piacere della lettura e della scrittura. Questo è un grande dono oltre che un talento. Questo feedback, immagino, arrivi anche a te. 

Come vivi il loro appassionarsi al mondo dei libri proprio grazie al tuo impegno e alla tua passione? 

MLV:

Tutto quello che faccio in fondo punta a questo tipo di risultato, incentivare l’interesse verso la lettura. Cerco in tutti i modi, nel mio piccolo, di creare curiosità intorno al mondo della lettura e il risultato spesso, è che i bambini cominciano a farmi una raffica di domande sulla scrittura, i più grandicelli almeno. Vogliono sapere quanto tempo dedico alla scrittura, come nasce un racconto ma soprattutto vogliono essere tranquillizzati rispetto alla possibilità di commettere errori quando si scrive. Questa è una preoccupazione di molti bambini e spesso la scuola, quando fondata su atteggiamenti correttivi esasperati o peggio censori, purtroppo risulta la principale responsabile di quest’ansia. Allora mi metto lì a raccontare di quante volte io riscrivo una frase per correggere gli errori che inevitabilmente faccio, per tranquillizzarli, per cercare di trasmette il messaggio che proprio dall’errore viene fuori molto spesso, un risultato davvero creativo.

Ovviamente tutte queste reazioni mi gratificano enormemente e le interpreto come il segnale di un lavoro ben fatto. Un pubblico di bambini che dopo aver ascoltato una storia si alza e se ne torna in classe senza fare domande mi preoccupa molto e mi fa interrogare sulla mia performance, su cosa è andato storto, cosa non ha funzionato, cosa è migliorabile. I bambini non ti fanno sconti, sono diretti in tutte le loro manifestazioni e questo loro atteggiamento – che purtroppo scompare con l’avanzare dell’età –  è di grande aiuto se riesci a prenderlo come spunto per il miglioramento. In modo del tutto originale sono loro a insegnare qualcosa a me ogni volta e non il contrario.

PV:

Un altro elemento fondamentale del successo dei tuoi incontri di storytelling è la complicità emotiva che instauri con i partecipanti. Si crea, infatti, un’entusiasmante interazione tra te e il piccolo pubblico, un ascolto attivo e una partecipazione significativa da parte di tutti, anche dei più timidi e dei più esuberanti. 

MLV:

Questo dipende certamente dal “cosa” racconto ma credo anche sia dovuto al “come” racconto. Come mi muovo, che smorfie faccio, il tono di voce che uso di volta in volta e soprattutto la mia tendenza a “invadere” lo spazio destinato al pubblico. Non c’è mai un palcoscenico che mi separa da loro e questo mi aiuta a mischiarmi spesso con il pubblico per trasformarlo, per esempio, in un bosco di alberi i cui rami alti formati dalle braccia tese, oscillano scosse dal vento. Sedersi a terra con loro, nascondersi dietro cespugli fatti di teste rende l’esperienza molto coinvolgente non solo per loro ma anche per me. Mi piace pensare di essere affetto da un “egocentrismo generativo”, una qualità che cerco di coltivare e che mi aiuta a tollerare l’ansia da prestazione senza per questo permettere all’ego di essere ingombrante, ipertrofico, tutto volto a nutrirsi delle reazioni del pubblico solo per il gusto. Io penso, invece, che raccontare qualcosa a un pubblico di giovanissimi mi ponga diverse responsabilità, una di queste è l’essere onesto e credibile. Per tale ragione devo concentrarmi sul versante generativo del mio narcisismo, per offrire al mio pubblico del momento dei doni, senza mai dimenticare che io sono lì per loro e non per me stesso, sono lì per generare curiosità, immaginazione, creatività e qualche volta, se riesco, anche un po’ di conoscenza.

PV:

E poi i tuoi incontri così come i tuoi libri hanno il potere di scatenare e potenziare l’immaginazione, oggi, spesso, compromessa e relegata in un angolino per lasciare il posto a quanto di preconfezionato i bambini e i ragazzi trovano in rete. 

Al riguardo, che consigli senti di dare a genitori, insegnanti, educatori in genere?

MLV:

Non dire mai troppo. Lasciare spazio ai bambini per permettere loro di completare l’opera. Devono contribuire anche loro nella costruzione di una storia, ecco perché io lascio sempre dei buchi nelle mie narrazioni animate, non racconto tutto, da qui la scelta di non leggere il testo ma andare a braccio, seguendo il flusso cronologico degli eventi, senza però essere del tutto esaustivo. Il resto lo devono scoprire da soli. Se parlo della fame sofferta dai bambini durante la seconda guerra mondiale, non racconto delle tessere annonarie usate per sfamare il popolo e dei colori differenti che venivano usati per distinguere la fascia d’età dei destinatari. Non parlo nemmeno della loro effettiva incapacità di soddisfare davvero il fabbisogno calorico giornaliero di un bambino. Devono scoprirlo leggendo il romanzo, chiedendo agli insegnanti, leggendo altri libri, interrogando il web se necessario. La creatività si alimenta con la curiosità e con l’indefinitezza, se così possiamo dire. Accettare l’incertezza è la strada giusta da seguire per aprire i pori dell’immaginazione.

PV:

Non c’è incontro di narrazione animata che non termini con foto, autografi, domande e curiosità. I bambini e le bambine ne hanno una valanga da porgertene. Ogni volta tante mani alzate e tu sempre gentile e disponibile a soddisfare i loro interrogativi. Credo sia una bella soddisfazione per un autore e tu vivi questo momento con grande emozione. 

Qual è stata la domanda più curiosa che ti è stata rivolta da un giovane lettore o l’incontro più coinvolgente che ti è rimasto particolarmente impresso?

MLV:

Ricordo un bambino che dopo aver saputo che ero padre di due ragazzi già adulti mi ha domandato se i miei figli fossero orgogliosi di quello che facevo. Una domanda che mi ha colto di sorpresa e forse per la prima volta ho avuto difficoltà a trovare la risposta. Immagino di sì, almeno spero che i miei figli siano orgogliosi di quello che faccio come io lo sono del loro operato e del loro modo di vivere.

PV:

Dopo il lungo periodo della pandemia che ha limitato e talvolta impedito la possibilità di organizzare gli incontri di animazione alla lettura, finalmente sei ritornato in mezzo alle studentesse e agli studenti. E questo è fantastico perché quello di raccontare e di parlare di lettura alle giovani generazioni, in modo da appassionare bambini e ragazzi di tutte le età alla bellezza delle storie reali o fantastiche e ad avere come compagni di vita proprio i libri, è una necessità, un bisogno educatico-didattico, emotivo e sociale. In questo momento storico di solitudini e isolamento, un libro può veramente salvarci e regalare momenti di serenità, spensieratezza, benessere. 

MLV:

Adesso dirò qualcosa che farà storcere il naso a molti. Il periodo di reclusione forzata a cui la pandemia ci ha costretto per me è stato il periodo più felice degli ultimi anni, al netto di tutti i decessi causati dal Covid-19 ovviamente. E’ stato un momento unico per me e mia moglie perché abbiamo passato due mesi e mezzo con i nostri figli che abitano a duemila chilometri da noi e che possiamo vedere, in tempi normali, solo un paio di volte l’anno. In quel periodo ho letto tantissimo e ho scritto anche un romanzo per me molto importante (Mamadou il coraggioso – KaiFab Edizioni). La solitudine è una condizione umana troppo spesso bistrattata alla stregua della libera espressione delle emozioni, soprattutto nell’universo maschile. Bisognerebbe invece stimolare in tutti i bambini la capacità di rimanere con se stessi in modo sereno, creativo, costruttivo. E’ un modo per imparare a prendersi cura di se stessi, di riempire il nostro serbatoio spirituale attraverso attività come la lettura, che richiedono silenzio, concentrazione, solitudine appunto. Saltare da un’attività di gruppo all’altra è allo stato attuale la dinamica dominante all’interno delle famiglie e i bambini finiscono con il mostrare un forte disagio quando si ritrovano soli nella propria cameretta senza un compagno di giochi con cui fare festa. Ma da soli i nostri figli non potranno mai apprezzare il silenzio se in famiglia non ci sono esempi concreti, nei comportamenti dei genitori, che ne valorizzino l’utilità e la bellezza.

PV:

Caro Mauro, sei in continuo fermento letterario. Da poco hai pubblicato un romanzo più coinvolgente ed emozionante dell’altro: “Il Bambino di Cotone”, “Mamadou il coraggioso” e “L’isola di Amaranta”. Tutti e tre trattano dei temi importanti e attuali a livello universale: la questione ambientale, la violenza, l’immigrazione, la discriminazione razziale. Ne “L’isola di Amaranta”, l’ultimo nato in casa Edizioni BeMore,  anche quello del bullismo, tematica attuale e scottante anche alla luce degli episodi sempre più frequenti e tragici. Questa storia, per la potenza che porta in sé e per le tue capacità di grande narratore che riesce a toccare le giuste corde dell’attenzione, della riflessione, dell’emotività di chi ti ascolta, deve essere portata nelle istituzioni scolastiche, pertanto,

come pensi di “metterla in scena”? 

MLV:

Amaranta, la protagonista di questo romanzo sul bullismo ma anche sul riscatto personale dalle violenze subite, mette in scena una parte del mio mondo meno conosciuto, quello dell’arte figurativa. Le maschere che “realizza” Amaranta nel romanzo sono quelle che occupano gran parte delle mie giornate negli ultimi due anni. Per portare questo racconto in giro per le scuole ho dovuto costruire un baule in legno per contenere tutti gli attrezzi da lavoro, pialle, martelli, chiodi, insieme ad alcune delle “sue” maschere che uso per raccontare la storia ai ragazzi delle scuole primarie e medie. Una certa ispirazione l’ha prodotta su di me il famoso personaggio dei fumetti Disney che rispondeva al nome di Eta Beta. Andava in giro con una borsa molto piccola da cui tirava fuori oggetti enormi. Sebbene io non dorma come lui sui pomelli di ottone dei letti e non vada in giro vestito con un tutina nera aderente, ho pensato che tirare fuori da una cassa di legno oggetti complessi fosse un’ottima idea a cui ispirarsi. Vorrei che questo racconto fosse anche uno stimolo al fare, a realizzare manufatti, a impegnarsi fisicamente per creare qualcosa di nuovo senza badare al risultato. Non importa se il prodotto finale è artisticamente valido o meno, l’importante è spingere i bambini a usare utensili diversi, nuovi. Bisogna andare la di là delle forbici senza punta, il cartoncino e la colla. Lo sviluppo delle competenze manuali in questo mondo molto statico e sedentario, risulta quasi una sfida per le scuole che spesso non hanno spazi adeguatamente attrezzati. Il rischio, in mancanza di coraggio, è di appiattirsi su modalità produttive ripetitive, che non lasciano spazio alla creatività, all’immaginazione. Possedere un hobby così come Amaranta, può salvarci la vita – anche quella psichica – oltre a sviluppare la creatività e la capacità di risolvere problemi. E se quello che hai fatto non ti piace, buttalo via e ricomincia daccapo.

PV: La nostra intervista volge al termine, ti ringrazio per il tempo dedicatoci e le risposte interessanti sulle tue attività di promozione della lettura e invito gli interessati all’organizzazione di incontri con Mauro Li Vigni – Dirigenti Scolastici, Docenti, Associazioni, Operatori che lavorano con bambini e adolescenti – a contattarlo inviando una mail all’indirizzo mlivigni@hotmail.it o chiamando il numero di telefono indicato nel sito www.maurolivigni.com.

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