A cosa servono le stelle?

C’è un regista – tra i tanti che popolano il mio immaginario – che occupa un posto speciale nell’Olimpo in cui amo collocare le menti più illuminate. È Jean Jacques Annaud, il creatore di capolavori come L’orso, L’amante, Il nemico alle porte, Il nome della rosa.

E come si conviene al genio, in questa collezione di capolavori affatto differenti tra loro, c’è un’opera straordinaria, ambientata in un mondo realmente esistito eppure a noi quasi completamente ignoto. 

È “La guerra del fuoco”, una narrazione ambientata nel remoto mondo della preistoria, nel quale le parole sono ancora poveri suoni gutturali e dove alcune tribù primitive sono ancora dedite alla pratica – già orribile anche a quel tempo per talune specie più evolute – del cannibalismo.

Un uomo intraprende un periglioso viaggio alla ricerca del fuoco che la sua gente ha disgraziatamente perduto in un acquitrino e si imbatte, in una sorta di odissea ante litteram, in quella che diventerà la compagna della sua vita e che conosce il segreto che cambierà per sempre il mondo : la tecnica per crearlo, il fuoco, senza attendere la casualità di un fulmine che incendi la savana. 

Una scena in particolare conserva un angolo speciale nella mia memoria. Dopo aver fatto l’amore, in un modo tanto diverso da quello a tergo al quale è abituato, grazie alla giovane donna che lo inizia al piacere sconosciuto del bacio ed al godimento che la visione dell’amato in estasi può procurare al partner, il protagonista esce dal tepore della caverna e rimane affascinato ad osservare la luna e le stelle. 

Non ci è dato sapere quali domande egli si ponga, ma quello sguardo lo distingue dagli animali e dai suoi simili, eternamente indaffarati come i loro odierni pronipoti alla ricerca delle ghiande sul terreno, come maiali interessati esclusivamente al cibo, al coito, alla deiezione ed all’accumulo insensato di oggetti.

Quello sguardo, così raro ancora oggi, è quello della mente che si volge verso l’ignoto e la bellezza. 

Che non ha alcuno scopo che non sia l’appagamento dell’anima, incomprensibile a coloro che continuano a trascorrere la propria esistenza a razzolare, senza mai volgere lo sguardo alla meraviglia, al sogno, al miracolo del creato, all’amore. 

Santi Spartà

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