Marco Pavone spiega la metrica dantesca

Questa natura dell’accento l’ho imparata frequentando corsi di canto gregoriano. Il motivo è che il canto gregoriano, essendo il canto della Parola per eccellenza, è un canto che non ha una struttura musicale ritmata, che non va “a tempo”, ma segue per forza di cose l’andamento del testo e il fraseggio della lingua parlata, e quindi è un’ottima palestra per qualunque cantante e qualunque lettore di poesie. Il mio stile di recitazione della Divina Commedia si basa soprattutto proprio sulla prassi esecutiva del canto gregoriano. Questa prassi prevede sia uno stile legato (nel senso musicale del termine), cioè un’unica emissione di fiato, senza staccare una parola dall’altra, sia un’unica intenzione, un’unica “onda” dall’inizio della frase fino all’ultimo accento, con un’unica tensione espressiva ed emotiva dall’inizio alla fine. Concentrarsi mentalmente su quest’unica intenzione consente anche di evitare di assecondare e di “sovrainterpretare” il ritmo che è presente nel verso poetico, scongiurando il rischio di cadere in un andamento a “filastrocca”, che nasconde e banalizza il fraseggio del testo, la “direzione” del verso e la sua autentica natura poetica e musicale. Questo stile di recitazione è a maggior ragione quello “corretto” quando il verso ha un contenuto logico-sintattico che non si esaurisce nel verso stesso ma prosegue nel verso successivo (enjambement), e richiede quindi un’intonazione della voce che va spedita verso l’ultimo accento del verso, per proseguire idealmente nel verso successivo.

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