A cosa serve il silenzio?

Non molti apprezzano il silenzio profondo che si distende nella notte come il manto di un cavaliere solitario che appresta il suo giaciglio: quel silenzio che entra come un’arma affilata nelle membra, echeggia come un tuono lontano, cupo rombo d’un aereo smarrito che non riesce a superare il fronte delle nuvole e continua a volare in cerchio sopra un mare colore della pece.

Circondati dal rumore incessante del mondo non siamo più capaci di apprezzare il silenzio, dal quale rifuggiamo allo stesso modo con il quale si credette – da Aristotele e per millenni – che la natura aborrisse il vuoto affrettandosi a riempire lo spazio senza lasciarne alcuna parte vacante.

Ma c’è una condizione alla quale si può giungere, più frequentemente per destino accidentale o, per un numero limitato di esseri umani, per consapevole e tenace disposizione d’animo.

E’ la scelta deliberata del silenzio, che matura talvolta a seguito di una resa tutt’altro che subíta con rassegnazione, poiché lo stato faticosamente raggiunto non incombe come espiazione di colpe ma è piuttosto prossimo – se non coincidente – ad una convinta, serena e incrollabile adesione: che il silenzio sia lavacro dell’anima, ausilio all’ascolto dei battiti del cuore e di quelli della coscienza, altrimenti sommersa dal rumoreggiare dell’esistenza, dalla fatica del resistere alle sue provocazioni, alle sue lusinghe, ai suoi inganni.

Così, accostarsi al silenzio non è soltanto un percorso di meditazione con il quale si apprende il modo di attenuare le frequenze che annientano la libertà del pensiero, ma è altresì l’invito a sperimentare un modo diverso di acuire i sensi e mettersi in ascolto di ciò che sta oltre il frastuono incombente del mondo, lì dove è puro l’esistere senza desideri, l’amore donato senza compenso, l’abbandono senza rimpianti dell’ansia imposta dalle passioni.

In questo percorso, il silenzio non è più il pesante corollario del comune destino di solitudine delle anime, appena mitigata da imprevisti, improvvisi ed effimeri contatti, da brevi incontri con le barche di coloro che talora incontriamo uscendo dal rifugio sicuro delle nostre barriere coralline: attimi destinati a svanire al giungere di un’onda che ben presto ci separa, lasciandoci appena il tempo di un baratto, di uno scambio fugace, da conservare nel baule tarlato e malinconico della nostalgia.

Esso palesa, piuttosto, l’indimostrabile percezione di far parte di una infinita rete di relazioni con ogni entità del mondo, d’essere atomi di una eterna bellezza, insensibile all’apparente inganno del tempo, all’illusoria vastità dello spazio, in grado di coagulare l’infinito in una minuta particella di consapevole unità del tutto.

Santi Spartà

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