Borgese, l’intellettuale dallo sguardo lungo

La raccolta dei romanzi e dei racconti dello scrittore Giuseppe Antonio Borgese, curata dal direttore della fondazione Borgese Gandolfo Librizzi ed arricchita dalla prefazione del professor Salvatore Ferlita, va ben oltre il mero omaggio o l’atto di ammirazione. Rappresenta qualcosa di più significativo, un atto d’amore, di fiducia, d’impegno civile verso una parola, una narrazione che testimonia l’appassionata ricerca di un uomo verso la verità. 

Giuseppe Antonio Borgese è stato un intellettuale simbolo di libertà. Scrittore, critico letterario, studioso di Estetica, saggista e giornalista si è rivelato una figura di spicco nel contesto della cultura e della storia della prima metà del ‘900. Nonostante l’ostracismo fascista abbia cercato di annegarne la memoria e per molto tempo le sue opere siano state avvolte dall’oblio, oggi la sua preziosa eredità di scrittore e giornalista è riconosciuta da articoli, saggi, studi e ricerche.

Il pellegrino Borgese, nel suo viaggiare tra l’Europa l’Italia, approda negli Stati Uniti d’America in un esilio doloroso per il rifiuto opposto al giuramento fascista, ma porta con sé la continua tensione nel rimanere fedele a sé stesso. 

“Non ho più casa sulla terra; me la devo costruire nelle stelle” scrive nel suo diario, il 30 Maggio 1933, e forse se tutto questo rappresenta un dolore, una sofferenza lacerante per lo scrittore in esilio dalla sua terra, nello stesso tempo è la testimonianza della vita di un uomo coerente nel pensiero e nell’azione, fuori dai compromessi e dalle menzogne.

Dott. Librizzi, lei con grande passione si è dedicato allo studio delle opere di Antonio Borgese, da quanto tempo lavora sull’uomo e sullo scrittore Borgese? 

Lavoro su Borgese dal 1998, da quando fui tra i promotori della costituzione della Fondazione che a poco a poco ha preso vita fra mille iniziative: dall’avere acquistato e restaurato la casa ad averla fatta diventare un centro culturale. La Fondazione è stata costituita per ricordare la vita di Borgese e le sue opere con progetti che nel corso degli anni sono stati realizzati anche grazie a tante intese con diverse università. Adesso siamo impegnati in un progetto straordinario che vede impegnata la Fondazione nella valorizzazione del Parco letterario GA Borgese e Polizzi Generosa. Tra le iniziative previste la realizzazione del percorso letterario en plain air cosicché, chiunque, aggirandosi come un flaneur per le vie del paese potrà leggere l’opera di Borgese, allo stesso tempo scoprendo la storia della città, e visitando i diversi beni architettonici presenti.

Pensa che Borgese, nonostante quest’ultima pubblicazione, continui ad essere un autore dimenticato? 

Borgese non è più un autore dimenticato, non è lo più da tempo, soprattutto in quest’ultimo periodo. Nell’arco degli ultimi tre anni sono stati pubblicati libri e testi fondamentali. Penso a “Fondamenti della Repubblica mondiale” con la bellissima presentazione di Sabino Cassese poi “Golia, Marcia del Fascismo” in occasione del centenario della marcia del Fascismo con una prefazione di Francesco Merlo ed adesso Romanzi e racconti, e, ancora, altri progetti editoriali sono in corso. Oggi Borgese sarebbe felice di veder pubblicato Romanzi e racconti che raccoglie in un unico volume, un piccolo meridiano, tutti i suoi romanzi e racconti. Opera per la quale lui stesso lavorò in vita quando con la Mondadori ne aveva abbozzato i dettagli in un lungo fraseggio custodito nei suoi diari privati e poi in un carteggio per la pubblicazione di tutta la sua opera omnia a cui lavorava costantemente riordinandola. 

In una delle lettere indirizzate a Mussolini Borgese scrive “Mio luogo di vita non può essere se non laddove sia permesso allo scrittore d’essere veramente scrittore, cioè di scrivere il suo pensiero”. 

Professore Ferlita che cosa intende dire lo scrittore ed in che modo la posizione antifascista condizionò la sua vita?

Borgese fu risolutamente antifascista, lo fu per disposizione d’animo, per apertura intellettuale, per lo sguardo lungo, per l’affezione che ha avuto nei confronti della storia nazionale e civile. Borgese non si piegò mai al diktat fascista. Il suo no gli provocò la perdita della pensione, l’impossibilità di insegnare all’università, il vedere inserito i suoi libri nella censura del regime. Lo scrittore polizzano sapeva benissimo a cosa sarebbe andato incontro con il suo rifiuto ma non ci pensò nemmeno due volte alle conseguenze. Lui fu uno di quei pochi docenti universitari (diciassette) che dissero no al regime fascista. Fu un uomo dalla coerenza di ferro sino alla fine. In quella lettera a Mussolini lui spiega dettagliatamente tutte quante le sue ragioni e ritengo che questo sia un capitolo che ancora bisognerebbe completare. Una lettera da leggere in assoluto silenzio religioso, tali e tante sono potenti ognuna delle parole lì scritte.

Dopo il trasferimento a Chicago, nel 1936, si fa sempre più forte l’idea di formulare il progetto di una Costituzione su cui fondare un’ideale di Repubblica universale. Si potrebbe pensare ad un Borgese precursore di una futura costituzione degli Stati Uniti d’Europa come organizzazione sovranazionale al di là dei nazionalismi?

Quello che non ha mai smesso di sorprendermi di Borgese è la sua dimensione profetica, la capacità di saper vedere anzitempo. Questo è il dono e lo stigma dell’intellettuale, accorgersi prima di tutti gli altri del bene o del male che accadrà a breve o a lunga distanza. Borgese sapeva che l’esasperazione del nazionalismo, cioè il parossismo della patria intesa come luogo perfetto diciamo ed anche come giustificazione di slanci espansionistici, sarebbe diventato una specie di stato cancrenoso per il mondo a venire. Da visionario e da pacifista, attraverso una serie di articoli scritti lontano dall’Italia, propose una specie di organismo sovranazionale. Ai suoi occhi quella era la strada da percorrere anche se impervia e soprattutto negata dagli altri. 


Quali innovazioni possiamo ricavare nei suoi romanzi e nelle sue novelle? 

Secondo me è scandaloso che non si parli di Borgese a scuola, è scandaloso che i nostri docenti di Lettere non conoscano fino in fondo un autore che anticipò Alberto Moravia, Italo Svevo e Guido Piovene. Stiamo parlando di uno scrittore che, pubblicando Rubé nel 1921, aprì le porte a una serie di personaggi problematici, inetti, indifferenti. Capì prima di tutti che bisognava rifondare il romanzo contro la cosiddetta prosa d’arte. L’Italia dei primi decenni del Novecento, era un’Italia che praticava il bello stile, pensate a un maestro come Emilio Cecchi che riusciva a rendere qualsiasi cosa degna di essere raccontata, ma spesso nei pezzi di questi scrittori elzeviristi era più importante il modo con cui si raccontava e non tanto quello che veniva raccontato. Borgese accarezza l’idea di proporre un progetto nuovo, rifondare il romanzo avendo come modelli da una parte Verga e dall’altra Federico Tozzi. 

In America Borgese scrive saggi politici, in che modo gli Stati Uniti influenzano l’ambito culturale e letterario dello scrittore polizzano? Chi è l’americano per lui?

L’America è per lui ciò che dev’essere l’Europa sottratta e salvata dalla furia nazionalistica nazifascista, la nuova patria della democrazia per salvare la culla originaria, appunto, dell’Europa. è il porto sicuro cui approdare per conquistare quella libertà da contrapporre ad un ambiente strapaesano ed asfittico che era diventato l’Italia. Un luogo da cui dover fuggire, per affermare la propria autonomia e lo sarà non solo per Borgese, ma anche per tanti altri esuli intellettuali: da Salvemini, a La Piana, a Ventura, allo stesso Toscanini che poi animeranno la Mazzini Society. È in questo contesto che nasce uno dei libri veramente più necessari anche per comprendere fino in fondo la nascita e la diffusione del Fascismo “Golia. La marcia del Fascismo” un saggio capolavoro, tradotto in varie lingue, che in Italia arriverà tardi. Un libro scomodo per Mussolini, che fece arrabbiare anche Benedetto Croce. Borgese che si era formato al magistero di Croce, ad un certo punto mise alle strette l’estetica crociana e in quel libro disse qualcosa veramente di eretico, cioè che comprendeva l’adesione di Giovanni Gentile al Fascismo, ma non capiva il prendere le distanze di Croce dal regime, considerate certe sue posizioni. Croce fu molto contrariato e stroncò malamente il saggio facendo di tutto per ostacolare la carriera di Borgese

Nel testo “La nuova Germania” Borgese scrive “[…] l’opera d’arte non è immortale nel senso che duri immutabile, quale uscì dalle mani dell’artefice, per i secoli dei secoli, ma nel senso che l’arricchimento spirituale di cui un artista fa dono alla sua generazione si propaga in milioni di echi e di ombre senza mai fine. L’immortalità non è negli archivi e nei musei, ma nel cuore degli uomini.  Che cosa intende trasmettere Borgese con questo pensiero? La sua visione della letteratura ha ancora qualcosa da dire alle nuove generazioni?

Borgese ha una serie di intuizioni che poi altri svilupperanno successivamente. Capisce la grandezza di Alberto Moravia quando ancora era uno scrittore perfettamente sconosciuto e riceveva critiche negative per il romanzo “Gli indifferenti”. La stessa intuizione ce l’avrà per Mario Soldati e per Guido Piovene. Il suo è uno sguardo lungo che riesce ad interpretare il destino di uno scrittore diciamo nell’immediato. Contemporaneamente Borgese porta avanti un’idea di letteratura che prende corpo nel saggio “Tempo di edificare” e, ancora prima, in una serie di volumi “La vita ed il libro” considerati tra le migliori pagini di critica letteraria. Lui considera i romanzi fortemente intrecciati all’esistenza non solo dell’individuo, cioè del singolo lettore, ma di un intero paese, per cui l’effetto di un romanzo è come una rifrazione infinita di echi, di riverberi che bene o male avrebbero toccato le corde dei sentimenti, quindi la letteratura è qualcosa di consustanziale, non un passatempo ma l’espressione vera della società.

Rubè dice di essere un intellettuale «Un in-tel-let-tua-le. Una cosa orribile. Un mostro con due gambe, due braccia e un cervello che mulina a vuoto. O sì, una pompa idraulica per mandare su e giù il sangue. Cuore niente. Né libro né bestia. Incapace di fare il bene e di volere il male. […] Niente mai d’impulsivo, d’innocente, sì, questa è la parola: niente mai di scelto e fatto per istinto. Una sola cosa fatta per istinto, magari un delitto, una strage! Sarei salvo.» Gli intellettuali di oggi possono in qualche modo identificarsi in questo messaggio?

Io mi chiedo chi sono gli intellettuali oggi. Quando penso agli intellettuali penso alle figure di Leonardo Sciascia, Italo Calvino, Alberto Moravia, per il resto oggi abbiamo opinionisti, ancora più riduttivamente, influencer. Gli intellettuali intercettano tutto quello che gli altri non vedono o fanno finta di non vedere e di quello discettano anche confrontandosi in maniera virulenta. L’intellettuale per antonomasia è stato in Italia Pier Paolo Pasolini, lo scrittore corsaro che andava contro la morale pur di sostenere un’idea. Borgese meriterebbe di comparire in mezzo a questi grandi per la sua capacità di guardare al di sotto della superficie dell’acqua. Il rude Borgese rappresenta in qualche modo l’inizio di una crisi irreversibile dell’intellettuale che non si riconosce più, l’intellettuale che si sente smarrito tra le macerie di un secolo, il 1921, ma che già in qualche modo ha profetizzato tutto quello che poi sarebbe accaduto.

Rileggere i romanzi, i racconti, i saggi di Borgese, oggi significa riscoprire un umanesimo appassionato che rivendica i diritti, l’esigenza di libertà e la dignità individuale di ogni essere umano. Una visione che non perde mai di vista la speranza, custodita in un sole che non tramonta. L’impegno civile dello scrittore, del giornalista e del politico richiama alla coscienza di essere intellettuali vigili, investiti della sacra missione di difendere la libertà di pensiero e il valore supremo della cultura. La sua critica serrata al vuoto valoriale, agli ideali smarriti, incarnati in alcuni dei protagonisti delle sue opere, echeggia con forza anche ai nostri giorni, ammonendo sull’urgenza di assumere responsabilità nell’uso delle parole che considera fatti potenti, parole che generano azioni. Solo attraverso questo sforzo collettivo, l’umanità potrà preservarsi dall’autoannientamento, tendendo verso l’ideale di un governo universale, possibile faro di speranza nel buio delle incertezze.

Marisa Di Simone

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