GIOVINEZZA

Lorenzo il Magnifico

Trionfo di Bacco e Arianna (vv.1-4; 45-50)  

Quant’è bella giovinezza
che si fugge tuttavia!
Chi vuole esser lieto, sia,

di doman non c’è certezza.

[…]

Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi,
oggi sìan, giovani e vecchi,

lieti ognun, femmine e maschi.
Ogni tristo pensier caschi:

facciam festa tuttavia.

Questi celebri versi in cui compare la parola giovinezza condensano la visione della vita elaborata dall’Umanesimo, che si colloca proprio al crepuscolo del Medioevo. Curiosamente, per la convenzionale ripartizione delle epoche storiche, questo componimento del 1490 si situa ancora, per soli due anni (è il 1492 l’anno in cui si concluderebbe il Medioevo), all’interno dell’Età di Mezzo, un’epoca cui parrebbe non appartenere in nessun modo. Il suo autore, che è celebre più per motivi politici che letterari, cioè Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico, signore di Firenze, si dilettava di poesia e componeva dei canti per le feste di carnevale dell’epoca, che prendevano per l’appunto il nome di Canti Carnascialeschi.

Il Trionfo di Bacco e Arianna appartiene a tal genere di componimenti, che venivano cantati durante la processione dei carri in maschera. Nel testo sfilano personaggi appartenenti alla mitologia antica, da Bacco, dio del vino, ad Arianna sua amata, alle ninfe, a Sileno e al famoso re Mida che trasformava in oro tutto ciò che toccava. La loro rappresentazione è gioiosa, spensierata, traboccante di allegria, come si conviene ad una festa, il carnevale, che celebra il gusto per l’eccesso e per la trasgressione. Le strofe sono intercalate dal ritornello che è lo spunto per questa riflessione: quant’è bella giovinezza/che si fugge tuttavia!/Chi vuol esser lieto, sia,/di doman non c’è certezza.

Il tema della giovinezza è avvolto dal tema della fugacità del tempo. La giovinezza è bella, ma sempre fugace, e chi vuol trattenerne la letizia lo faccia senza indugio, perché non vi è certezza del domani. Risuona il carpe diem oraziano che invita ad assaporare il presente con i suoi doni. L’Umanesimo è il recupero della dimensione mondana, corporea della vita. Ma Lorenzo, alle soglie del Rinascimento, vi associa una linea di malinconia proprio attraverso questo richiamo alla fugacità della giovinezza. È tutt’un altro mondo rispetto a quello di Petrarca – trattato nel precedente contributo di questa rubrica – per il quale la prospettiva era quella di rinnegare semmai gli errori della giovinezza, troppo dedita ai sospiri d’amore.  

Nei versi conclusivi del testo, che riporto anche qui, il tema viene ribadito con un’ulteriore esortazione imperiosa al godimento. Nessuno si nutra del domani e ognuno viva del suo oggi, giovani o vecchi, femmine o maschi. È bandito ogni pensiero triste. Facciamo sempre festa (la parola “tuttavia” qui vuol dire “sempre”).

La giovinezza in Lorenzo è colta in una fase circoscritta della vita. L’invito a goderne i doni a causa della sua fugacità certifica la sua inevitabile transizione ad un’età adulta che peraltro appariva segnata da fatica e sofferenza, con la prospettiva di una durata media di vita certamente non paragonabile all’attuale. È molto difficile, nel nostro tempo, invitare i giovani alla spensieratezza, sia perché l’attuale condizione giovanile, per quanto molto più agiata, è piuttosto incline all’ansia quando non alla depressione; sia perché la stessa durata della giovinezza, oggi, appare alquanto ambigua. Quando si finisce di essere “giovani”, nel tempo dell’eterna giovinezza garantita dal benessere e dalla medicina?

Rileggere con i nostri giovani questo testo di Lorenzo è una sfida a mettere ai raggi X la nostra capacità – di tutti, come dice il testo, giovani e vecchi – di gioire di quel che c’è. Si tratta di una sfida aperta, che non può essere risolta sbrigativamente a nostro sfavore pensando a tutto il male che attraversa questo avvio di millennio. Il Quattrocento e il Cinquecento sono state epoche difficilissime, segnate da una precarietà esistenziale cui potevano sfuggire pochi fortunati appartenenti a classi privilegiate. E forse proprio per questo diventava più pregnante l’invito a tenersi ben stretta l’età della vita in cui si è più forti e pieni di speranza. La giovinezza, appunto.

C’è nel testo di Lorenzo, sulla linea di Epicuro e poi di Orazio, una forte sapienza del tempo, non estranea peraltro neppure alla cultura cristiana col suo Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 6,34); una sapienza che oggi torna in auge con le pratiche di meditazione che focalizzano la mente sull’attimo presente (si pensi al best seller “Il potere di adesso” di Eckhart Tolle).  

Va riconosciuto quindi a Lorenzo de’ Medici, “ago della bilancia d’Italia” (Guicciardini) che ha garantito la pace nell’Italia di fine Quattrocento, il merito di aver ricordato ai suoi contemporanei che la vita è anche festa, gioco, tripudio dei sensi. Era un messaggio forte ai moralisti del suo tempo, ma risuona ancor oggi tutte le volte che la nostra mente tende a fabbricare ansie per il futuro e che i nostri giovani sono risucchiati nel consumismo e nella competizione perdendo di vista la dimensione ludica e la leggerezza del vivere.

Maurizio Muraglia

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